La novella viene narrata dal colto Eumolpo, durante un viaggio in nave. Richiama probabilmente una fonte perduta ed è una tipica fabula Milesia, narrazione di matrice greca sui temi del sesso e della beffa, che piaceva molto ai Romani, ma non solo…Basti pensare al nostro Decamerone. Il linguaggio non è più quello dei liberti, che si può osservare nella novella del lupo mannaro e nella cena di Trimalchione, ma è colto e raffinato. Il lettore, altrettanto colto e raffinato, può cogliere una serie di parodie e citazioni letterarie, soprattutto dal libro IV dell’Eneide dedicato all’amore infelice tra Enea e Didone.
Ecco il testo:
Viveva ad Efeso una matrona tanto famosa per la sua pudicizia, che suscitava l’ammirazione anche delle donne dei paesi vicini. Essendole morto il marito, non contenta di seguirne il funerale con i capelli sciolti o di percuotersi il petto nudo di fronte a tutti , seguì il morto anche nel sepolcro, dove era stato deposto all’uso greco ( i romani ai tempi di Petronio preferivano cremare i corpi) , e cominciò a vegliarlo e a piangerlo giorno e notte. Né i genitori , né i parenti riuscirono a farla uscire, tanto era afflitta e decisa a lasciarsi morire; lo stesso accadde alle autorità, che, respinte, se ne andarono. Compianta da tutti, quell’esempio di virtu’ trascorreva ormai il quinto giorno senza cibo.
Era accanto a lei una fedelissima ancella, che univa le sue lacrime al pianto della sua signora, e alimentava di continuo la lucerna posta davanti alla tomba.
Tutta la città non poteva parlare d’altro, tutti, a qualsiasi condizione appartenessero, dichiaravano che quello era un inimitabile, grandissimo e rifulgente esempio di pudicizia e d’amore.
Proprio in quei giorni il governatore della provincia ordinò di crocifiggere dei ladri nelle vicinanze del sepolcro dove la matrona piangeva il cadavere ancora non decomposto.
E cos la notte successiva, un soldato, messo di guardia alle croci perché nessuno sottraesse i corpi per dar loro sepoltura, avendo notato una luce più vivida delle altre in mezzo alle tombe e avendo sentito i gemiti di qualcuno che piangeva, assecondando la naturale curiosità, volle sapere chi fosse e cosa facesse. Scese dunque nel sepolcro e, vista la bellissima donna, in un primo momento si arrestò come se avesse di fronte un mostro o delle immagini infernali.
Poi quando vide il cadavere e si accorse delle lacrime e del volto lacerato dalle unghie e quando comprese di cosa si trattava, cioè che la donna non poteva sopportare la mancanza del defunto, portò nella tomba la sua parca cena e cominciò a esortare la donna in lacrime a non perseverare in un dolore completamente inutile e a non squassarsi il petto con gemiti che non portavano a nulla (le diceva):< tutti dobbiamo morire e tutti abbiamo lo stesso destino>, e le altre cose che richiamano alla ragione gli animi sconvolti dal dolore.
Ma la donna, sconvolta dalle parole di consolazione di quello sconosciuto, si lacerò con più violenza il petto e, dopo essersi strappata delle ciocche di capelli le gettò sul corpo del defunto.
Tuttavia il soldato non si scoraggiò, ma ripetendo le stesse parole tentò di dare un po’ di cibo alla poverina, finchè l’ancella, sedotta dal profumo del vino, tese per prima la mano vinta dalla gentilezza di chi la invitava. Poi, rianimata dal vino e dal cibo, cercò di espugnare l’ostinazione della padrona e disse: < A cosa gioverà se ti lascerai morire di fame, se ti sepellirai da viva, se esalerai l’anima innocente prima che i fati la richiedano? “Credi che i morti se ne accorgano? ” ( è una citazione dall’Eneide). Non vuoi tornare alla vita? Non vuoi, messo da parte questo errore da femminuccia, goderti le gioie della vita finchè ti sarà concesso? Proprio il corpo disteso davanti a te ti dovrebbe esortare a vivere.>
Nessuno ascolta controvoglia , quando è esortato a mangiare e a vivere.
Così la donna, sfinita da tutti quei giorni di digiuno, permise che la su ostinazione venisse spezzata , e non fu meno avida dell’ancella, che aveva ceduto per prima, nel rimpinzarsi di cibo. Poi sapete bene a quali tentazioni vadano incontro le persone quando sono sazie di cibo.
Con le stesse lusinghe che aveva usato per convincere la donna a vivere, il soldato attentò alla sua virtù. Né il giovane appariva brutto ne incapace di parlare alla casta donna, anche perché l’ancella tentava di renderglielo gradito e le ripeteva di continuo < Ti opporrai anche ad un amore gradito? Non ti ricordi in quali terre viviamo?> ( la citazione è ancora dall’Eneide. Sono le parole di Anna, la sorella di Didone, che la vuole convincere ad accettare l’ amore di Enea. Didone deve pensare anche al suo popolo, circondato da popolazioni potenzialmente ostili, ma qui le ragioni della geopolitica si fatica a scorgerle..)
Perché tirarla per le lunghe? Neppure con quella parte del corpo la donna si astenne, e il soldato vincitore la sedusse completamente.
Giacquero insieme non solo quella notte in cui consumarono le nozze, ma anche il giorno successivo e quello dopo, naturalmente dopo aver chiuso le porte del sepolcro, così che chiunque, parente o sconosciuto, venisse alla tomba pensasse che la virtuosissima donna fosse spirata sul corpo del marito.
Del resto il soldato, conquistato dalla bellezza della donna ed eccitato dall’avventura clandestina, comprava tutte le cose buone che si poteva permettere e sul far della notte, subito le portava nella tomba.
E così quando i i genitori di uno dei crocefissi videro che la sorveglianza era cessata, di notte staccarono il corpo dalla croce e gli diedero l’estremo saluto.
Ma il soldato, ingannato mentre se la spassava, quando il giorno successivo vide una croce senza il cadavere, temendo la condanna, raccontò alla donna quanto era accaduto: non avrebbe aspettato la sentenza del giudice , ma avrebbe fatto giustizia con la spada della sua negligenza. Lei dunque facesse un po’ di posto a lui che stava per morire, in quel sepolcro destinato dal fato al marito e all’amante.
Ma la donna, non meno pietosa che virtuosa, disse < Gli dei non permettano che nello stesso periodo io assista al funerale dei due uomini a me più cari. Preferisco appendere il morto che uccidere il vivo.>
Dopo questo discorso ordina di togliere dalla bara il corpo di suo marito e di metterlo sulla croce rimasta vuota. Il soldato fu salvato da quella donna così saggia e il giorno dopo la gente si chiese con stupore in che modo un morto si fosse messo in croce.
(traduzione mia)
Perché il racconto è interessante. Al contrario della novella del lupo mannaro, qui non c’è realismo né linguistico né psicologico: il soldato e la schiava sono eloquentissimi, al punto da citare (la schiava) versi dell’Eneide a memoria. Ma l’atteggiamento del narratore è lo stesso: come in tutto il Satyricon (v. la cena di Trimalchione) Petronio non dà giudizi, non commenta, anche se, come accade per Boccaccio, in questo caso è chiaro come il narratore non si scandalizzi per niente per la condotta dei personaggi, che si può tranquillamente definire spregiudicata.
Fa quasi pensare che Petronio voglia prendersi gioco della morale tradizionale romana, celebrata ad esempio da Tito Livio, che assegnava alle donne un unico compito: la tutela della loro pudicitia. Al punto che l’eroina per eccellenza della storia romana è Lucrezia, che, violentata da Sesto Tarquinio, dopo aver rivelato la violenza subita al padre e al marito, che non gliene fanno alcuna colpa , decide di uccidersi comunque, pronunciando, nel racconto di Livio. queste parole: “Sta a voi stabilire quel che si merita (Sesto) . Quanto a me, anche se mi assolvo dalla colpa, non significa che non avrò una punizione. E da oggi in poi, più nessuna donna, dopo l’esempio di Lucrezia, vivrà nel disonore!” Insomma la violenza disonora la donna, anche se del tutto innocente.
Qui la matrona sembra inizialmente voler conformarsi in tutto e per tutto a questa morale, al punto di scegliere di morire insieme al marito, come se l’unica dimensione che riesce a riconoscere per sé stessa sia quella di moglie. Poi, però, l’ancella le dice di mettere da parte quella convinzione da femminuccia (muliebri errore), e la donna può riaprirsi alla vita.
Insomma mi piace considerare questo racconto (al di là di quello che pensava Petronio, chiunque egli sia stato ) come un piccolo tassello della storia della liberazione della donna.
Chi volesse vedere la rappresentazione cinematografica che di questo racconto fa dato Federico Fellini può vederlo qui : la matrona di Efeso dal Satyricon di Fellini
Testo latino
[CXI] “Matrona quaedam Ephesi tam notae erat pudicitiae, ut vicinarum quoque gentium feminas ad spectaculum sui evocaret. Haec ergo cum virum extulisset, non contenta vulgari more funus passis prosequi crinibus aut nudatum pectus in conspectu frequentiae plangere, in conditorium etiam prosecuta est defunctum, positumque in hypogaeo Graeco more corpus custodire ac flere totis noctibus diebusque coepit. Sic adflictantem se ac mortem inedia persequentem non parentes potuerunt abducere, non propinqui; magistratus ultimo repulsi abierunt, complorataque singularis exempli femina ab omnibus quintum iam diem sine alimento trahebat. Adsidebat aegrae fidissima ancilla, simulque et lacrimas commodabat lugenti, et quotienscumque defecerat positum in monumento lumen renovabat. “Una igitur in tota civitate fabula erat: solum illud adfulsisse verum pudicitiae amorisque exemplum omnis ordinis homines confitebantur, cum interim imperator provinciae latrones iussit crucibus affigi secundum illam casulam, in qua recens cadaver matrona deflebat.
“Proxima ergo nocte, cum miles, qui cruces asservabat, ne quis ad sepulturam corpus detraheret, notasset sibi lumen inter monumenta clarius fulgens et gemitum lugentis audisset, vitio gentis humanae concupiit scire quis aut quid faceret. Descendit igitur in conditorium, visaque pulcherrima muliere, primo quasi quodam monstro infernisque imaginibus turbatus substitit; deinde ut et corpus iacentis conspexit et lacrimas consideravit faciemque unguibus sectam, ratus (scilicet id quod erat) desiderium extincti non posse feminam pati, attulit in monumentum cenulam suam, coepitque hortari lugentem ne perseveraret in dolore supervacuo, ac nihil profuturo gemitu pectus diduceret: ‘omnium eumdem esse exitum et idem domicilium’ et cetera quibus exulceratae mentes ad sanitatem revocantur.
“At illa ignota consolatione percussa laceravit vehementius pectus, ruptosque crines super corpus iacentis imposuit. Non recessit tamen miles, sed eadem exhortatione temptavit dare mulierculae cibum, donec ancilla, vini odore corrupta, primum ipsa porrexit ad humanitatem invitantis victam manum, deinde retecta potione et cibo expugnare dominae pertinaciam coepit et: ‘Quid proderit, inquit, hoc tibi, si soluta inedia fueris, si te vivam sepelieris, si antequam fata poscant indemnatum spiritum effuderis? Id cinerem aut manes credis sentire sepultos? Vis tu reviviscere! Vis discusso muliebri errore! Quam diu licuerit, lucis commodis frui! Ipsum te iacentis corpus admonere debet ut vivas.’ “Nemo invitus audit, cum cogitur aut cibum sumere aut vivere. Itaque mulier aliquot dierum abstinentia sicca passa est frangi pertinaciam suam, nec minus avide replevit se cibo quam ancilla, quae prior victa est.
[CXII] “Ceterum, scitis quid plerumque soleat temptare humanam satietatem. Quibus blanditiis impetraverat miles ut matrona vellet vivere, iisdem etiam pudicitiam eius aggressus est. Nec deformis aut infacundus iuvenis castae videbatur, conciliante gratiam ancilla ac subinde dicente:
‘Placitone etiam pugnabis amori? Nec venit in mentem, quorum consederis arvis?’
“Quid diutius moror? Jacuerunt ergo una non tantum illa nocte, qua nuptias fecerunt, sed postero etiam ac tertio die, praeclusis videlicet conditorii foribus, ut quisquis ex notis ignotisque ad monumentum venisset, putasset expirasse super corpus viri pudicissimam uxorem.
“Ceterum, delectatus miles et forma mulieris et secreto, quicquid boni per facultates poterat coemebat et, prima statim nocte, in monumentum ferebat. Itaque unius cruciarii parentes ut viderunt laxatam custodiam, detraxere nocte pendentem supremoque mandaverunt officio. At miles circumscriptus dum desidet, ut postero die vidit unam sine cadavere crucem, veritus supplicium, mulieri quid accidisset exponit: ‘nec se expectaturum iudicis sententiam, sed gladio ius dicturum ignaviae suae. Commodaret ergo illa perituro locum, et fatale conditorium familiari ac viro faceret.’ Mulier non minus misericors quam pudica: ‘Ne istud, inquit, dii sinant, ut eodem tempore duorum mihi carissimorum hominum duo funera spectem. Malo mortuum impendere quam vivum occidere.’ Secundum hanc orationem iubet ex arca corpus mariti sui tolli atque illi, quae vacabat, cruci affigi.
“Usus est miles ingenio prudentissimae feminae, posteroque die populus miratus est qua ratione mortuus isset in crucem.”
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