Durante il banchetto offerto dal ricchissimo Trimalchione i liberti chiaccherano, si raccontano storie accadute a loro stessi o a loro conoscenti. Parlano una lingua molto diversa dal latino di Cicerone o di Seneca. E’ la lingua del popolo, semplice, piena di modi di dire e di parole greche latinizzate alla meglio (il greco era l’inglese dell’epoca). Possiamo così gettare uno sguardo sulla lingua usata dalla gente comune, ma forse anche dagli scrittori illustri, che certamente però non la usavano nelle loro opere. Anche le storie che si raccontano appartengono ad un contesto molto diverso da quello dell’élite della società romana. Quella del popolo è una cultura intessuta di magia e superstizione, che non emerge mai nei grandi autori, ma molto diffusa, probabilmente anche oltre il mondo greco e latino.
Per rallegrare il banchetto Trimalchione chiede all’amico Nicerote di raccontare una delle sue avventure e il liberto non si fa pregare.
Ecco il testo:
Dette queste cose incominciò il suo racconto.
Quando ancora ero schiavo, abitavamo in Vico stretto, ora è casa di Gavilla. Lì gli dei vollero che cominciassi ad amare la moglie dell’oste Terenzio: avete conosciuto certamente la tarantina Melissa, quel bel bocconcino di ciccia (bacciballum dice Nicerote). Ma a me non importava del suo fisico o dei giochetti erotici, mi piaceva perché era una brava ragazza. Se le chiedevo qualcosa non mi diceva mai di no: guadagnava un soldo? Mezzo me lo prendevo io, e lo lasciavo in deposito nel suo sicuro seno. E non sono mai rimasto fregato. Il suo compagno morì in campagna, e così di riffa o di raffa ( per scutum per ocream, è un’espressione proverbiale, forse del linguaggio dei gladiatori: attraverso lo scudo e il gambiere …) mi diedi da fare per andare da lei: infatti gli amici si vedono nel bisogno.
Per caso il mio padrone era andato a Capua per vendere delle sue mercanzie. Colgo l’occasione e persuado un nostro ospite ad accompagnarmi fino al quinto miglio. Era un soldato, forte come un Orco (Orco è il nome proprio di una divinità degli Inferi, forse di origine etrusca, poi passato alla cultura greco-latina. E’ rimasto anche nella nostra cultura ad indicare, come nome comune, una creatura spaventosa e malvagia). Al canto del gallo alziamo le chiappe ( apoculamus è un verbo che deriva da un nome, non difficile da individuare): la luna splendeva come a mezzogiorno. Arriviamo in Io a un cimitero (monimenta sono le tombe, i cimiteri si trovavano fuori dagli abitati): il mio uomo si mise a farla tra le tombe, io mi siedo canticchiando (per farmi coraggio) e conto le lapidi. Poi, quando girai lo sguardo verso di lui, quello si spogliò e mise i suoi vestiti sul bordo della strada. Io col cuore in gola (ma il latino dice anima in naso esse, e richiama la credenza per la quale, al momento della morte, l’anima usciva dal naso) , stavo lì mezzo morto. Quello pisciò intorno ai suoi vestiti e immediatamente si trasformò in un lupo. Non pensate che vi preda in giro, non mentirei per tutto l’oro del mondo ( il latino dice nullius patrimonimonium tanti facio: non lo farei per il patrimonio di nessuno).
Ma, come avevo iniziato a dire, dopo che era diventato un lupo, cominciò ad ululare e fuggì nei boschi.
Io all’inizio non sapevo neanche dove fossi: poi mi avvicinai, per prendere i suoi vestiti, ma quelli erano diventati di pietra. Chi potrebbe morire di paura, se non sono morto io? Tuttavia impugnai la spada e , matavitatau( non sappiamo cosa scrive a questo punto Petronio: possiamo fare solo delle ipotesi, forse si tratta di lettere greche, come una formula di scongiuro…tipo abracadabra oppure qualcosa che imita il suono della spada, come zazac) procedetti tagliando le ombre davanti a me, finchè non arrivai al podere della mia amica.
Entrai ridotto a uno spettro , mezzo morto (quasi avevo sputato l’anima, espressione popolare: nel latino colto si diceva animam efflare ) il sudore mi colava giù per le gambe (il latino parla di una biforcazion: bifurcum, potrebbe essere quella dell’inguine), gli occhi spenti: a fatica mi sono ripreso.
Melissa cominciò a guardarmi , perché andavo in giro a quell’ora di notte, e poi disse <Se fossi arrivato prima, almeno ci avresti aiutato: un lupo è entrato nel podere e ci ha sgozzato tutte le pecore, come un macellaio. Né tuttavia l’ha fatta franca: è fuggito, ma un nostro schiavo gli ha trafitto il collo con una lancia.
Udite queste parole, non potei più chiudere un occhio, ma appena fatta luce, fuggii a casa del nostro Gaio come un oste rapinato ( il riferimento è a una popolare favola di Esopo); appena giunto nel luogo in i i vestiti erano divenuti pietra, non trovai altro che sangue. Appena arrivai a casa , il nostro soldato giaceva a letto come un bue, un medico gli curava il collo. A quel punto capii che era un lupo mannaro, (il latino dice versipellem, cioè colui che cambia pelle), né in seguito sarei riuscito a mangiare un tozzo di pane con lui, neanche se mi avessero ucciso.
(traduzione mia)
Perché questo racconto è interessante?
In primo luogo come si è detto, ci fa vedere come parlava la gente del popolo: frasi brevi, modi di dire. Lo strano è che uno scrittore colto abbia usato questa lingua, senza l’intento esplicito di prendersi gioco dei suoi personaggi. E’ come se Petronio, come un realista moderno, si proponesse di ritrarre, senza dare giudizi, un ambiente tanto lontano dal suo. E questo è un unicum nella letteratura latina (almeno per quello che conosciamo). In secondo luogo vediamo nei liberti del primo secolo affiorare un immaginario molto diverso dalla mitologia greco latina. Alcuni studiosi fanno risalire il mito dell’uomo che si trasforma in lupo addirittura all’età del bronzo.
Ma l’aspetto che mi affascina di più in questo mito è l’uso della parola versipellis, con la quale Petronio definisce il lupo mannaro. L’ innocuo soldato che diviene un lupo sanguinario rappresenta una paura che tutti abbiamo: quella di vedere emergere all’improvviso, in chi ci sta vicino, una natura minacciosa e temibile. E purtroppo la cronaca nera ce ne offre quotidiani esempi.
Testo latino. Evidenziate le parole commentate nella traduzione .
Haec ubi dicta dedit talem fabulam exorsus est:
“Cum adhuc servirem, habitabamus in vico angusto; nunc Gavillae domus est. Ibi, quomodo dii volunt, amare coepi uxorem Terentii coponis: noveratis Melissam Tarentinam, pulcherrimum bacciballum. Sed ego non mehercules corporaliter aut propter res venerias curavi, sed magis quod benemoria fuit. Si quid ab illa petii, nunquam mihi negatum; fecit assem, semissem habui; in illius sinum demandavi, nec unquam fefellitus sum. Huius contubernalis ad villam supremum diem obiit. Itaque per scutum per ocream egi aginavi, quemadmodum ad illam pervenirem: nam, ut aiunt, in angustiis amici apparent.
[LXII] “Forte dominus Capuae exierat ad scruta scita expedienda. Nactus ego occasionem persuadeo hospitem nostrum, ut mecum ad quintum miliarium veniat. Erat autem miles, fortis tanquam Orcus. Apoculamus nos circa gallicinia; luna lucebat tanquam meridie. Venimus inter monimenta: homo meus coepit ad stelas facere; sedeo ego cantabundus et stelas numero. Deinde ut respexi ad comitem, ille exuit se et omnia vestimenta secundum viam posuit. Mihi anima in naso esse; stabam tanquam mortuus. At ille circumminxit vestimenta sua, et subito lupus factus est. Nolite me iocari putare; ut mentiar, nullius patrimonium tanti facio. Sed, quod coeperam dicere, postquam lupus factus est, ululare coepit et in silvas fugit. Ego primitus nesciebam ubi essem; deinde accessi, ut vestimenta eius tollerem: illa autem lapidea facta sunt. Qui mori timore nisi ego? Gladium tamen strinxi et <matavitatau /in tota via> umbras cecidi, donec ad villam amicae meae pervenirem. In larvam intravi, paene animam ebullivi, sudor mihi per bifurcum volabat, oculi mortui; vix unquam refectus sum. Melissa mea mirari coepit, quod tam sero ambularem, et: ‘Si ante, inquit, venisses, saltem nobis adiutasses; lupus enim villam intravit et omnia pecora tanquam lanius sanguinem illis misit. Nec tamen derisit, etiamsi fugit; senius enim noster lancea collum eius traiecit’. Haec ut audivi, operire oculos amplius non potui, sed luce clara Gai nostri domum fugi tanquam copo compilatus; et postquam veni in illum locum, in quo lapidea vestimenta erant facta, nihil inveni nisi sanguinem. Vt vero domum veni, iacebat miles meus in lecto tanquam bovis, et collum illius medicus curabat. Intellexi illum versipellem esse, nec postea cum illo panem gustare potui, non si me occidisses. Viderint quid de hoc alii exopinissent; ego si mentior, genios vestros iratos habeam.”
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