Quando pensiamo alla letteratura latina ci vengono probabilmente in mente opere serie, impegnate, edificanti, a volte un po’ noiose: poemi, orazioni, libri di storia, trattati di filosofia… Ma i romani non avevano niente da leggere sotto l’ombrellone o quando tornavano a casa dopo una seduta in senato o una guerra? Certo i grandi poemi epici (soprattutto l’Odissea, ma anche l’Eneide) sono avvincenti fiction, piene di passioni, guerre, delitti ma la loro lettura è comunque impegnativa, se non altro perché sono in versi e richiedono una buona conoscenza della mitologia.
In realtà i romani (e ovviamente i greci) avevano anche loro qualcosa che assomigliava ai nostri romanzi o novelle, che si leggono senza troppo impegno e non necessitano di particolari conoscenze, solo che la maggior parte di queste opere sono andate perdute. Non è difficile spiegare perché: nelle scuole di retorica si privilegiavano ovviamente opere con un importante significato morale e civile. Quelle venivano studiate e, avevano quindi una larga diffusione manoscritta.
Ma soprattutto non dimentichiamo che tutto quello che della letteratura latina ci è arrivato, è passato attraverso il filtro degli intellettuali del Medioevo ed è difficile immaginare uno scriptorium medievale con monaci che ricopiano, sotto dettatura di un pio confratello, la fiaba del lupo mannaro! E’ per questo che dal mondo latino ci sono arrivati solo due grandi romanzi: L’asino d’oro di Apuleio e il Satyricon di Petronio. Entrambi i romanzi contengono, al loro interno, delle novelle, alcune delle quali hanno acquisito quasi una vita autonoma.
Chi vorrà seguirmi ne scoprirà due, entrambe appartenenti al Satyricon, alle quali ho premesso una breve descrizione del romanzo.
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