L’ardito del popolo che sognava il teatro

Guido Picelli

Nell’estate del 22 lo squadrismo fascista aveva ormai il pieno controllo delle piazze e delle campagne. La maggior parte delle Camere del lavoro e delle sedi dei partiti di sinistra erano state assalite e devastate. Decine di sindacalisti, dirigenti di partito, operai e contadini uccisi. La risposta alla violenza delle squadracce, ben armate e organizzate e protette da polizia ed esercito, fu sporadica e disorganizzata e soprattutto priva di una guida politica. Eppure i socialisti, solo un anno prima, avevano vinto le elezioni, erano il primo partito.
Per fermare l’onda nera l’ultimo, quasi disperato tentativo è la proclamazione di uno sciopero generale a tempo indeterminato a cominciare dal 31 luglio. Tre giorni prima Balbo e le sue squadre avevano seminato morte e distruzione a Ravenna e in tutta la Romagna. Mussolini, che ormai si comporta come il capo di uno stato ombra, ordina che, se entro 48 ore le forze dell’ordine non avranno stroncato lo sciopero, le squadre fasciste occupino le città e impongano con la forza il ritorno al lavoro. Intanto viene organizzato il crumiraggio e partono gli assalti alle sedi sindacali e le bastonature. La gente ha paura, lo sciopero è un mezzo fallimento, dopo il primo giorno si va esaurendo. A Milano i fascisti assaltano la sede del Comune e D’Annunzio, dal balcone, declama il suo inno alla vittoria.
Ma nell’Italia ormai nera c’è una piccola macchia rossa. Ancor più intollerabile, perchè è in Emilia la culla dello squadrismo, il feudo del numero due del fascismo, Italo Balbo. A Parma lo sciopero è riuscito, massiccio e compatto. E dopo l’ultimatum delle 48 ore continua.
Uno dei leader socialisti in citta è Guido Picelli. E’ un dirigente molto conosciuto e amato nei quartieri popolari. Per questo è stato candidato ed eletto deputato l’anno prima, con ben 20mila preferenze. Ha 32 anni, non è un politico nè un intellettuale cresciuto sui libri di Marx. E’ uno spirito ribelle con alle spalle una vita disordinata e da artista.
Nato da un’umile famiglia e rimasto subito orfano di madre, viene avviato al lavoro di apprendista orologiaio. Ma molle e rotelline non fanno per lui e scappa di casa al seguito di una compagnia di guitti. Viaggia nel nord Italia. Fa l’attore e, si dice, una volta recita anche con il famoso Ermete Zacconi. Ma ad attrarlo, più del teatro, è il cinema. Così va a Torino, dove sta sorgendo la nuova meravigliosa industria cinematografica e per mantenersi fa l’operaio in un cementificio. Un’altra passione è la lirica, della quale pare sia un grande esperto. I suoi sogni si infrangono presto e nel 12 torna a Parma e apre un negozietto da orologiaio. Ma non si arrende del tutto e fonda la Compagnia teatrale stabile di Parma. Un ribelle e un sognatore, l’attrazione per le idee rivoluzionarie e socialiste è inevitabile e si iscrive al Psi.
Allo scoppio della guerra si schiera con i neutralisti. Ma è uno spirito inquieto e uomo d’azione, non può rimanere con le mani in mano. Si arruola nella Croce rossa, così non sparerà, ma aiuterà i proletari in armi. E siccome il coraggio non gli manca, si guadagna due medaglie di bronzo. La guerra evidentemente lo affascina e, da spirito libero qual è, a sorpresa entra all’Accademia militare e diventa sottotenente. Lui spiegherà il passaggio dal pacifismo all’arte militare dicendo che, dopo aver visto il proletariato massacrato nelle trincee, voleva imparare a difenderlo. E in effetti così sarà.
Nel ’20 fonda la Guardia rossa, un pugno di militanti armati, la cui unica azione rilevante sarà il blocco di un treno carico di soldati diretto in Albania. Per questo Picelli viene arrestato, uscirà dal carcere poco dopo, perchè eletto in Parlamento, accolto festosamente in Oltretorrente, la zona più popolare di Parma.

Un manipolo di squadristi

Nel 21 fonda gli Arditi del popolo di Parma, organizzazione armata che a livello nazionale era stata fondata a Roma da un anarchico. Gli arditi erano un corpo scelto dell’Esercito, per missioni da commando, creato nel 17. Molti di costoro erano poi entrati nelle squadre fasciste, che avevano adottato anche uno dei loro simboli: il teschio con il pugnale tra i denti. Una minoranza creò invece gli arditi del popolo. Che però non erano molto benvisti ne dal Psi nè dal neonato Pcd’i. Da parte deI primi perchè si trattava di un’organizzazione poco controllabile, con dentro anarchici ed estremisti vari, ma soprattutto perchè il Psi puntava ancora ad una pacificazione e riteneva che una risposta armata avrebbe offerto al governo il destro per una dura repressione e per la chiamata al potere di Mussolini. Analisi forse giusta in teoria, ma sbagliata nei fatti, poichè di lì a pochi mesi la borgehsia consegnerà ugualmente il governo a Mussolini. Anche i comunisti diffidavano, nonostante Lenin ne avesse annunciato la nascita sulla Pravda, perchè era un’organizzazione nata fuori dal partito, aperta a tutti. Inaccettabile per il settario Bordiga.
Ma lui la pensa in tutt’altro modo, non è un dogmatico nè un fine politico, lui è un uomo del popolo, attore, estroverso e frequentatore di osterie. Le divisioni tra massimalisti, riformisti, comunisti, operaisti, sindacalisti rivoluzionari e anarchici, che ammorbano la sinistra, non gli interessano e non le capisce. Il proletariato – sostiene – è una cosa sola, gli oppressi sono tutti uguali. Di fronte al pericolo fascista si è convinto di due cose. Che bisogna costruire un fronte unico di resistenza, tutti uniti, compresi i repubblicani e i popolari. E che i fascisti vanno fronteggiati anche con le armi, perchè la violenza è l’arma con cui stanno vincendo.
La polizia lo tiene d’occhio e in settembre lo arresta, perchè in casa ha delle armi. Scarcerato perchè la Camera non dà l’autorizzazione, viene di nuovo arrestato nel marzo del 22 per lo stesso motivo e poi riscarcerato. Intanto organizza i suoi arditi e cerca di unificare le varie sigle sindacali. I risultati sono buoni, tanto che al comizio del 1° maggio afferma: «Parma è l’unica zona che non è caduta in mano al fascismo oppressore. La nostra città e buona parte della provincia, è rimasta una fortezza inespugnabile, malgrado i tentativi fatti da parte dell’avversario. Il proletariato parmense non ha piegato e non piega».
Indubbiamente ha coraggio e carisma. Una volta, con i suoi arditi si frappone tra un plotone di guardie e un’inerme manifestazione, e ordina ai militari, che gli obbediscono, di ritirarsi. Forse c’è un po’ di leggenda, ma a Parma è ormai un personaggio leggendario. Ma quella macchia rossa va cancellata. Mussolini ordina di marciare su Parma, il 2 agosto circa 10mila camice nere, provenienti da tutta la regione e anche dalla vicina Cremona, arrivano in città.
Picelli e i suoi arditi hanno preparato la difesa. Durante la notte hanno chiuso tutte le strade che portano oltretorrente e ai quartieri popolari Naviglio e Saffi, con decine di barricate. Gli arditi sono circa 350, ma solo la metà sono armati, fucili e bombe, gli altri hanno ascie, forconi, pugnali ricavati dalle lime. Picelli li ha divisi in gruppi, ognuno con un capo e una zona da difendere. Ma non sono soli, è un popolo intero che è pronto alla resistenza, ci sono molte donne e giovanissimi. Sono stati organizzati servizi di approvigionamento, sanità, vedette e portaordini. Tutto quello che Picelli ha imparato è messo in pratica. Alcuni punti strategici vengono minati. Il vice di Picelli è un esperto di esplosivo, Antonio Cieri, un anarchico anche lui pluridecorato. Hanno preparato trappole di fuoco e acqua bollente da gettare dalle finestre. Perchè la decisione è, se necessario, di combattere casa per casa.

Barricate contro i fascisti a Parma

Ma al di là dell’organizzazione militare che impressionerà lo stesso Balbo. Il successo di Picelli è soprattutto politico. Nella difesa di Parma è riuscito ad unire tutti: socialisti, comunisti, anarchici e un gruppo del partito popolare. Quel fronte comune che ha sempre sognato. Ed anche alcuni preti, che hanno concesso i campanili per le vedette. Un parroco ha tirato fuori le panche dalla chiesa per fare barricate. Ha detto no solo quando Picelli gli ha chiesto di issare la bandiera rossa sul campanile.
I fascisti tentano un primo attacco al Naviglio, ma vengono respinti. Sono dieci a uno e ben armati, ma tentennano, prendono tempo. Il fatto è che per la prima volta si trovano di fronte una resistenza vera, raffiche di pallottole che uccidono. E loro sono abituati ad assalti contro persone inermi o comunque con poco rischio. Solo a Sarzana era già successo, li a sparare furono i carabinieri, e loro se la diedero a gambe.
Si profila uno smacco intollerabile. Mussolini ordina a Balbo di andare a Parma. Lui arriva con altri uomini. Tentano di attraversare i ponti per raggiungere Oltretorrente, ma vengono respinti di nuovo. L’esercito non collabora ed anzi ordina ai fascisti di tornare sulle loro posizioni. Balbo scrive nel diario: «Debbo riconoscere che i nostri avversari danno prova di valore e di ardimento. Picelli è presso le trincee ad animare i combattenti.». A quel punto il governo, per sbloccare la situazione, rimuove il prefetto che aveva simpatizzato per gli arditi, e proclama lo stato d’assedio.
Balbo, si dice soddisfatto e se ne va con tutte le camice nere. Ma in realtà è una cocente sconfitta. Lasciano sul campo una ventina di morti e un centinaio di feriti, quattro i caduti tra gli antifascisti. Come aveva detto Picelli: <Parma non si piega>. Sulla via del ritorno, per sfogare la loro rabbia, i neri distruggono le sedi delle cooperative della Bassa. Balbo ai suoi assicura che torneranno a prendersi la loro vendetta. Ma quando a settembre vuole riorganizzare la spedizione, il Duce gli ordina di lasciar perdere, una figuraccia è sufficiente e poi c’è qualcosa di molto più importante da preparare.

Picelli è diventato popolare anche fuori Parma. Torna alla carica col Psi, perchè si impegni a sostenere gli Arditi del popolo, ma riceve un rifiuto. Ormai è comunque tardi: in ottobre Mussolini va al potere e Picelli scioglie i suoi arditi. Ma non si arrende, ormai la lotta può essere solo clandestina e così crea i “Gruppi segreti di azione” o “Soldati del popolo” che però combineranno poco. Anche perchè Picelli ormai è guardato a vista e viene di nuovo arrestato, assieme a 36 comunisti parmensi, accusato di un complotto.
Salvato di nuovo dal no della Camera alla sua detenzione, lascia il Psi e si iscrive al Pcd’I, divenendone in pratica il responsabile militare. Come tale dedica ogni sforzo alla creazione di una struttura insurrezionale comunista.
Nel 24 è rieletto parlamentare e si fa beffe dei fascisti esponendo una grande bandiera rossa sul balcone di Montecitorio, per protestare contro l’abolizione della festa del 1° maggio. Così viene arrestato una quinta volta. Ma, tutto sommato, non è la cosa peggiore, visto che fuori i fascisti gli danno la caccia e ha subito già due aggressioni. Tornato in libertà, viene assoldato un sicario per ucciderlo, ma verrà ferito da un colpo di pistola solo ad una tempia.
Nel novembre del 26 viene arrestato una sesta volta ed, essendo stati tutti i deputati aventiniani dichiarati decaduti, è condannato a 5 anni di confino, a Lampedusa poi a Lipari. Liberato nel 31, si sottrae ai controlli di polizia e fugge in Francia. Ma, a causa della sua attività politica, viene arrestato ed espulso. Ripara allora in Belgio, ma per aver partecipato alla lotta dei minatori di Borinage, viene espulso anche da qui. Non resta che l’Unione sovietica. Qui gli viene dato un incarico di rilievo: insegnare strategia militare alla Scuola leninista internazionale, l’università dei rivoluzionari di tutto il mondo. Lavora per il Comintern e scrive anche tre lavori teatrali, che vengono rappresentati nelle fabbriche e tra gli esuli.
Ma Picelli scopre presto una Russia molto diversa da quella che i comunisti europei immaginavano. Più che la patria del socialismo è un regime poliziesco e le condizioni del popolo sono peggiori di quelle nell’Italia fascista. Picelli è uomo passionale ed estroverso, non nasconde i suoi dubbi e si lascia sfuggire qualche critica. Nessun attacco politico allo stalinismo, è prudente, perchè ha già visto altri comunisti italiani sparire da un giorno all’altro nelle carceri o nei campi di rieducazione. Solo qualche commento, ma è sufficiente. La Nkvd, la polizia politica, tiene particolarmente d’occhio i comunisti riparati in Urss.

Le Brigate internazionali sfilano a Madrid

Picelli c’è abituato, anche se ora invece della polizia fascista è quella stalinista a stargli alle costole. Improvvisamente, nel marzo del 35, viene licenziato dalla Scuola e spedito in fabbrica. Picelli scrive a Togliatti, chiede spiegazioni e chiede un suo intervento perchè gli sia evitata la punizione della fabbrica. Ma Togliatti gli ordina di obbedire. Va a lavorare all’industria di cuscinetti Kaganovic. Ma dopo alcuni mesi subisce un processo politico in fabbrica. Lo accusano di essere un “frazionista”. Viene isolato, i suoi compagni di lavoro italiani ricevono l’ordine di non rivolgergli più la parola.
Capisce che il gulag si avvicina. Allora scrive di nuovo a Togliatti, respinge le accuse: «Contro il bordighismo in Italia ho sempre lottato. Ho sempre difeso la linea dell’Internazionale comunista. In Francia, nell’emigrazione, ho lottato contro il trockismo e anche nell’Urss. Da quando milito nel partito comunista non ho mai partecipato a gruppi di opposizione né ho mai svolto attività frazionista né di destra né di sinistra». Togliatti non risponde.
Dopo qualche mese scoppia la guerra civile in Spagna. Picelli pensa possa essere la sua salvezza e chiede di lasciare l’Urss per andare a combattere in difesa della Repubblica contro i franchisti. In fondo è la cosa che sa far meglio. In un primo momento gli negano il permesso, poi grazie alle pressioni esterne gli concedono di partire, ma chiarendo che non avrebbe rappresentato il Comintern.
Picelli non ne ha certo l’intenzione. Anzi, il capo del Poum, il partito trotzchista spagnolo, gli offre il comando di un battaglione. Lui sta per accettare: «Non sono più comunista. Ho lasciato la Russia e sono venuto in Spagna perché voglio combattere per la causa antifascista, ma con i comunisti non ho più nulla da spartire. Sono pilota aviatore: se posso esservi utile…». Il partito gli sconsiglia vivamente di farlo. Allora assume il comando di una colonna di 500 uomini delle Brigate internazionali, la colonna Picelli. L’ex capo degli arditi del popolo è felice, gli sembra di essere tornato in Oltretorrente, anche qui si è realizzata quell’unita di tutti gli antifascisti. Migliaia di volontari sono venuti da tutto il mondo a combattere per la libertà e la democrazia. In realtà le cose non stanno proprio così, ma per ora non importa.
Poco dopo la colonna viene integrata nel battaglione Garibaldi, comandato da Randolfo Pacciardi e Picelli ne diviene il vice. Nel gennaio del 37, alla testa del battaglione, riporta un’importante vittoria, conquistando Mirabueno, sul fronte di Guadalajara. Quattro giorni dopo, con la sua compagnia cerca di conquistare la vetta di una collina, ma mentre assieme ad alcuni compagni cerca di piazzare una mitragliatrice su una creasta, viene colpito a morte. Sotto il fuoco nemico il suo corpo viene abbandonato e sarà recuperato solo il giorno dopo. Il governo spagnolo fa celebrare funerali di Stato a Madrid, Valencia e Barcellona.
Ma qualcuno racconta una storia diversa. Il comandante degli Arditi del battaglione Garibaldi Giorgio Braccialarghe, che aveva preso parte al recupero della salma, riferisce che <La pallottola che l’ha fulminato, l’ha colpito alle spalle, all’altezza del cuore>. Un altro combattente, Antonio Eletto, anch’egli comunista, dichiarerà che, quel giorno, il reparto di Picelli non aveva a disposizione alcuna mitragliatrice.
In Spagna ci sono molti uomini della Nkvd, che si occupano molto più di uccidere anarchici, trotzkisti e antistalinisti che di combattere i franchisti. E Picelli per i sovietici era ormai chiaramente un trozkista. Non ci sono prove certe che sia stato ucciso dai sicari di Stalin. In una situazione confusa come quella di una battaglia si può essere colpiti alle spalle anche dai nemici che stanno di fronte.
L’avventura del deputato diventato comandante, che sognava di fare l’attore, magari a Hollywood, e fu l’unico a battere i fascisti, finisce in una pozza di sangue, in mezzo alle sterpaglie di una collina rosa dal sole e dal vento nel cuore della Spagna. Là dove l’antifascismo e l’internazionalismo proletario l’hanno chiamato.
A ucciderlo è stata una pallottola franchista o forse stalinista. Ma probabilmente il ribelle Picelli avrebbe detto che non faceva gran differenza, in fondo il colpo veniva dalla stessa parte.

giorgio gazzotti