Una storia struggente, un romanzo storico, ambientato tra l’Italia e la Sarajevo assediata durante la guerra di Bosnia (1992-1996). Un gruppo di bambini, alcuni provenienti dall’orfanatrofio di Sarajevo, vengono sottratti al terribile assedio da un’organizzazione umanitaria e trasferiti in Italia. Durante il drammatico viaggio, sul pullman, si forma un gruppo di amici. Sono loro i protagonisti del romanzo, che racconta quasi vent’anni della loro vita( dal 1992 al 2011). Alcuni di loro vengono adottati da famiglie italiane e sembrano integrarsi senza troppi problemi, altri rifiutano di diventare italiani, perché non vogliono rinunciare definitivamente al rapporto con le loro famiglie, soprattutto le madri, di cui, a volte, non conoscono la sorte. Il romanzo è, purtroppo, di scottante attualità: impossibile non ritrovare in quella guerra la stessa straziante sofferenza, ma anche lo stesso sgomento per la bestialità a cui può arrivare il genere umano, che proviamo oggi, di fronte alla devastazione dell’Ucraina. E ci ricorda che a soffrire di più sono sempre i bambini. Ma è anche un romanzo sui rapporti tra figli e genitori, soprattutto tra madri e figli. Rapporti che, anche nei migliori dei casi, nascondono sempre delle ombre, delle ambiguità. E la guerra, la lontananza e lo sradicamento esasperano al massimo queste ombre. Il romanzo è avvincente e commovente, senza scadere nel melodrammatico. Lo stile molto curato, forse con qualche ricercatezza lessicale di troppo, ma sempre fluido incisivo. Ho apprezzato molto il racconto di un momento storico da una prospettiva originale, come accade del resto anche nel bel romanzo (premiatissimo) che la Postorino ha pubblicato nel 2018 “Le assaggiatrici