Conoscevo abbastanza bene la storia di Giovanni Falcone. Non solo per averla seguita sui giornali e sui media. Ho negli occhi la casetta di cemento dalla quale è stata fatta esplodere la bomba sull’autostrada : ci ho portato per due volte i miei studenti, assieme all’associazione Addiopizzo, che cerca di contrastare appunto il pizzo che, nonostante gli affari di miliardi che Cosa Nostra ormai gestisce a livello mondiale, viene ancora imposto ai commercianti siciliani per ricordare che a comandare, lì, non è lo Stato.

Non mi aspettavo quindi delle grandi novità dal libro di Saviano. Eppure la lettura di Solo il coraggio mi ha profondamente commossa e turbata. Bravo Saviano a recuperare la tradizione del romanzo storico, che in Italia risale ai Promessi Sposi, per la quale il romanziere ha il compito di integrare ciò che la storia ufficiale non dice , per restituire al lettore i caratteri, le emozioni, i sentimenti dei personaggi. Ma non è stato il contatto con il lato umano dei protagonisti di questa storia a provocare questo turbamento.

Il romanzo storico dovrebbe, appunto, parlare di storia, cioè di una sequenza di eventi conclusa e consegnata agli studiosi. Ma sappiamo tutti che non è così. E’ vero che Falcone (e Borsellino) sono ormai stati consacrati eroi nazionali, è vero che la loro morte (in questo caso si può veramente parlare di sacrificio) ha sconvolto la coscienza civile della nazione, che ha compiuto, in mezzo secolo, indubbi progressi. “Quando ammazzarono il collega Pietro Scaglione, nel ’71, le cariche dello Stato disertarono il funerale.”

E’ vero che, dopo tanti morti fra magistrati, forze dell’ordine e politici , Falcone e Borsellino riuscirono nell’impresa del maxi processo, descritto da Saviano con toni giustamente epici: “Questa volta, però, i legali dei mafiosi si sono impuntati, richiedendo espressamente che la Corte leggesse ad alta voce tutte le pagine relative al Maxiprocesso. Che sono quasi settecentomila: il presidente Giordano avrebbe dovuto trascorrere più di due anni a leggere ininterrottamente.”

Ma non bastò neppure questo incredibile successo a far comprendere alla classe dirigente, o almeno, a quella parte di classe dirigente che contava, anche non collusa con la mafia, che solo con uomini come Falcone e Borsellino l’Italia (non solo la Sicilia) poteva forse affrancarsi dall’ipoteca criminale che ne condiziona la storia. Saviano racconta nel dettaglio gli attacchi beceri e miopi che Falcone ha ricevuto dopo aver conseguito lo storico successo del maxiprocesso, anche da parte di personaggi insospettabili. E il lettore coglie tutta l’amarezza che deve aver provato.

La famosa frase di Sciascia, (I professionisti dell’antimafia) “nulla vale più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso” è solo il più famoso degli attacchi di giornalisti e politici, di tutte le parti politiche ricevuti dal magistrato.

E’ dopo la conclusione (nel 1990) dell’esperienza del giudice Caponnetto, ideatore del pool antimafia, che comincia il vero calvario di Falcone. Il Csm gli nega la naturale successione alla guida dell’Ufficio istruzione di Palermo. Il pool viene smantellato “Prima tutte le indagini antimafia venivano centralizzate a Palermo. Solo così si è potuto creare il Maxiprocesso, solo così si è potuto capire Cosa nostra ed entrare nei suoi misteri” . Poi gli viene negato anche l’accesso al CSM.

L’incarico che assume a Roma al Ministero di giustizia, per costituire una Procura Nazionale Antimafia, che possa contrastare gli indugi e le inefficienze, più o meno colpevoli, delle singole procure, trova l’opposizione di molti colleghi, tra cui anche Paolo Borsellino.

“Una buona parte dei magistrati, però, lungi dall’esprimere un giudizio di valore, vede Giovanni Falcone come una creatura bicefala sulle cui spalle ci sono i volti del ministro Martelli e quello di Cossiga, accusati di voler ridimensionare l’indipendenza della magistratura

Gli viene così negato anche l’incarico di procuratore nazionale antimafia. “Era convinto che di lì a poco avrebbe cambiato ufficio. Che sarebbe diventato procuratore nazionale antimafia. Non ha mai smesso di sperarci, che le cose si sistemassero. Che gli dessero la possibilità di fare luce. Ma sul serio, stavolta. Una luce vera che disperdesse le tenebre”

Ma quella luce vera non è mai arrivata, o almeno non ha mai illuminato la scena fino in fondo. Falcone è stato isolato, lasciato solo con il suo coraggio. Ma il romanzo purtroppo non parla di eventi conclusi. La cronaca ci dice che la realtà descritta da Saviano è cambiata , ma la criminalità non è stata affatto sconfitta. Gli eroi che hanno sacrificato la loro vita per tutti noi, non hanno (ancora?) vinto.