Dopo “M Il figlio del secolo”, Scurati con  “M l’uomo della provvidenza” continua la storia di Mussolini, del fascismo e dell’Italia. Il romanzo ripropone la stessa struttura annalistica (ogni capitolo corrisponde a un anno, ma ci sono anni a cui sono dedicati più capitoli) e fa seguire al racconto documenti, dattiloscritti, lettere, telegrammi. Insomma un nuovo “romanzo documentario”, avvincente e imperdibile (soprattutto per chi ama la storia), come il primo.

L’arco temporale va dal 1925 al 1932. L’incredibile ascesa di Mussolini descritta nel “Figlio del secolo”, aveva conosciuto nel 1925 una battuta d’arresto. Il delitto Matteotti sembrava aver scosso l’opinione pubblica e molti prestigiosi intellettuali avevano firmato il “Manifesto” contro il Fascismo. Sarebbe bastato poco a far sì che il destino del paese prendesse un’altra direzione rispetto a quella imboccata con la marcia su Roma.

<Se il primo poeta e primo soldato d’Italia, ammantato della sua immensa gloria militare e letteraria, si fosse unito al coro di accuse e denunce, il regime fascista, già barcollante, ne avrebbe probabilmente ricevuto il colpo di grazia. Ma D’Annunzio aveva taciuto…> Sarà ben ripagato con ingenti finanziamenti pubblici per il suo fastoso, lugubre  e  inquietante  mausoleo sul lago di Garda. Inoltre <Le opposizioni parlamentari, ancora ritirate sull’Aventino, incerte se tornare in Parlamento, divise su tutti,gesticolanti e immobili, hanno ancora una volta, inutilmente, puntato ogni loro residua speranza su un sussulto di coscienza di Vittorio Emanuele III, re d’Italia. E in questa attesa allucinata, con lo sguardo perso in un orizzonte vuoto, si sono sgretolate, crollando su se stesse, come un vecchio legno corroso dalle tarme>.

La grande abilità di Scurati è anche qui, come nel romanzo precedente, quella di creare  una tensione narrativa che coinvolge  il lettore e lo tiene col fiato sospeso. Come il romanzo precedente anche il seguito fa riflettere su quanto i grandi eventi storici siano spesso frutto non di un disegno calcolato e razionale, ma di un insieme di fattori casuali, singolarmente reversibili o arginabili, che si combinano a determinare conseguenze, come in questo caso, esiziali.

All’inizio del 26 di Matteotti si ricordano in pochi. Ora Mussolini ha un altro problema. Il più giovane capo di governo nella storia d’Italia è tormentato  da una pericolosissima ulcera, che non gli consente di esporsi con la consueta energia. Ma anche questa sarà superata.

Il capitolo finale, ambientato nel 1932, descrive con grandissima efficacia la Mostra della rivoluzione fascista al Palazzo delle Esposizioni di Roma. A inaugurarla è un Mussolini ormai intangibile, inossidabile come l’acciaio usato dai suoi architetti per allestire la mostra, ormai  padrone unico del Paese e  “uomo della provvidenza”,  scampato miracolosamente a una serie di attentati, quasi che, appunto, una sorta di disegno provvidenziale lo abbia voluto preservare per il fulgido destino dell’Italia.

La  descrizione delle varie sale  è magistrale: opera dei migliori architetti italiani, sintesi di tecnica prodigiosa,  design e materiali ancora oggi attualissimi e di una retorica celebrativa che piega la storia ad una visione provvidenzialistica. L’esposizione è allo stesso tempo l’esaltazione e il monumento funebre del Duce. <Benito Mussolini è qui….vivo e vegeto, in carne ed  ossa, all’apogeo del suo potere, al culmine della sua maturità, eppure è già anche lì, decuplicato, ossidato, fossilizzato in cento profili di lamiera zincata>.

Tra questi due estremi temporali il libro racconta il consolidamento del regime, il suo rapido affermarsi come un totalitarismo feroce, per mezzo di atti legislativi di un parlamento ormai ridotto ad una larva, approvati dalla monarchia senza esitazioni, e il perdurare di atti violenti e illegali che avevano caratterizzato l’avvento del fascismo, ma che ne rappresentano anche il DNA più profondo: <Voi sapete quello che io penso della violenza. Per me essa è profondamente morale, più morale del compromesso e della transazione>. ”Benissimo! Urla di approvazione. Applausi vivissimi” .(Discorso di Mussolini del 22 giugno 1925 al IV congresso del PNF).

Non vengono taciuti anche i successi del regime: la risoluzione del conflitto con la Chiesa, il tentativo di far progredire l’Italia e di trascinarla fuori, con tutti i mezzi, da uno stato di povertà e arretratezza, così come gli aspetti più intimi della vita del Duce: il rapporto con la moglie, con la figlia Edda, con Margherita Sarfatti, la sua insaziabile fame sessuale e la sua solitudine.  Ma questa, in fondo è storia nota, anche se raccontata con grande  efficacia.

Ma il romanzo di Scurati racconta anche vicende e aspetti che il lettore non specialista conosce solo superficialmente. In primo luogo il bassissimo livello della classe dirigente fascista, sia a livello locale (Scurati approfondisce in particolare la situazione di Milano dove i fascisti al potere sfruttano la crescita e lo sviluppo della città per arricchirsi, in modo spudorato) sia a livello nazionale. Personaggi di infima  levatura morale, in continua guerra fra loro, che vedono immediatamente nelle posizioni, conquistate come per miracolo, l’occasione di un’ affermazione inconcepibile senza il processo rivoluzionario.

Scurati cita a questo proposito un verbale di una riunione segretissima  del 5 marzo 1930 a palazzo Littorio (sede romana del PNF). Sono presenti Augusto Turati (segretario del partito), Arnaldo Mussolini, Leandro Arpinati, Achille Starace, Alessandro Melchiori e Roberto Farinacci. E’ una “tregua d’armi” fra nemici, non una riunione tra vecchi camerati. Riporto alcune battute: <Arpinati: io vado in automobile, ho la serva, tutte cose che prima non avevo…” Turati: “Sotto questo punto di vista siamo tutti dei profittatori.” (…) (Sempre Arpinati) rivolto a Farinacci : “Ho una posizione sociale che prima non avevo e che mi permette un determinato tenore di vita. Tu stesso che fai l’avvocato, io credo che tu non pensi che saresti diventato il grande avvocato Farinacci se non fossi ex segretario di Partito.…La mia carriera è questa. Che se domani mi manda via il Capo, non so più dove andare.” (…) Ma Roberto Farinacci, figlio di ferroviere, si è conquistato una laurea in legge grazie a una tesi interamente copiata e si è assunto, concorde Mussolini, la difesa di Amerigo Dùmini, il boia di Matteotti, fin dall’estate del millenovecentoventiquattro, quando quasi tutti stracciavano la tessera del Fascio. >

Molti capitoli sono dedicati alla guerra in  Libia. La regione, formalmente sotto il dominio dell’Italia dal  1912, è in realtà, soprattutto nelle zone più lontane dalla costa, ancora dominata da tribù locali. Ma il Fascismo  non accetta un dominio incompleto e, soprattutto sotto la guida di Rodolfo Graziani, il  macellaio del Fezzan (come lo definisce lo storico Del Boca) conduce contro la popolazione una guerra disumana: bombardamenti sulla popolazione inerme,  uso di gas come l’iprite e  reclusione delle tribù ribelli, compresi ovviamente donne, vecchi, bambini, in campi di concentramento che si distinguono da quelli nazisti solo per l’assenza dei forni crematori. Alla fine la Libia è completamente assoggettata.

E’ un vincitore l’ Uomo della Provvidenza? Lascio la parola all’autore.< …. un capo di Stato, idolatrato dalle folle, che scivola giorno giorno, nel non invidiabile destino  della più radicale sfiducia verso chiunque e nella ancor più agghiacciante condanna a dover coltivare una sempre maggiore, assoluta, abnorme fiducia verso se stesso;(…) un uomo che finge quotidianamente di nuotare tra folle di bagnanti adoranti, di fraternizzare con umili operai, di mietere il grano assieme a ruspanti contadini  contadini e invece nuota, fraternizza e miete sempre circondato da agenti di polizia travestiti. (…) Se Mussolini potesse dire un giorno: “Riapro le frontiere, sopprimo i tribunali, sciolgo la milizia, non ho più bisogno né di boia né di carcerieri; ristabilisco la libertà di stampa, ridò ai partiti la libertà d’associazione”, allora, sì, vorrebbe dire che è vincitore. Ma essere obbligato, come è dopo quasi otto anni di governo, a parlare e ad agire come un capo-banda, no! questo non si chiama vincere>.