In questa lettera a Lucilio  Seneca invita l’amico a selezionare gli amici che frequenta e gli spettacoli a cui assiste: chi frequenta uomini viziosi viene contagiato dalla loro immoralità. Chi assiste alla violenza dei giochi circensi, tanto amati dai romani, non può uscirne moralmente indenne. Noi siamo profondamente influenzati non solo  dal contatto con gli altri, ma anche da ciò che vediamo. Non si può non fare un paragone con la  violenza di tanti film, serie Tv, videogiochi che appartengono alla nostra quotidianità. Per fortuna ci viene risparmiata la visione del sangue umano fatto scorrere dal vivo, che Seneca ci racconta descrivendo un momento della  sua vita quotidiana. Entrato nell’anfiteatro verso mezzogiorno, si trova invece davanti ad uno spettacolo orribile: combattimenti tra condannati a morte. Ma ciò che è ancora più tremendo sono le grida entusiaste della plebe, che Seneca, quasi incredulo, registra: chi gode di uno spettacolo di questo tipo ha perduto o è destinato a perdere la propria umanità.

Per caso verso mezzogiorno capitai ad uno spettacolo. Mi aspettavo qualche scenetta comica, qualche lazzo scherzoso, che facesse riposare gli occhi dallo spettacolo del sangue umano (dello spettacolo gladiatorio del mattino). Tutto il contario: i combattimenti precedenti erano atti di misericordia, ora, abbandonati gli scherzi, sono veri e propri omicidi (nunc omissis nugis mera homicidia sunt).
Non hanno niente con cui proteggersi, tutto il corpo è esposto ai colpi, nessun colpo va a vuoto. E la maggior parte del pubblico preferisce questi duelli a quelli delle coppie di gladiatori che combattono secondo il programma (ordinariis paribus) o a richiesta del pubblico (postulaticiis). Perché non dovrebbero preferirli? Questi non hanno scudi, né elmi con cui respingere i colpi. A che servono le difese (munimenta) o l’abilità nel combattere (artes) ? Sono soltanto modi per ritardare la morte. Di mattina gli uomini sono dati in pasto ai leoni e agli orsi, a mezzogiorno agli spettatori. (Mane leonibus et ursis homines, meridie spectatoribus suis obiciuntur ).

Chi ha già ucciso deve affrontare un altro che lo ucciderà e il vincitore è destinato ad essere ucciso a sua volta: l’esito per tutti i combattenti è la morte. E, (se sono riluttanti) vengono spinti a frustate o col fuoco (ferro et igne res geritur) . E tutto questo avviene nell’intervallo, quando l’arena è mezza vuota. “ Ma questo è un rapinatore, un assassino” E allora? Perché ha ucciso, se lo è meritato: ma tu, infelice, cosa hai fatto per meritare uno spettacolo così?
“ Uccidi, picchia, brucia! Ma perché quello va incontro  alla spada così timidamente? Perché esita ad uccidere? Perché muore così poco volentieri? (Occide, verbera, ure! Quare tam timide incurrit in ferrum? quare parum audacter occidit? quare parum libenter moritur?)  Spingetelo a combattere con la frusta , si becchino dei bei colpi in pieno petto.” C’è una sospensione dello spettacolo ” Almeno si sgozzi qualcuno, per non stare qui a far niente.

E ancora – prosegue la lettera – bisogna tenersi lontano dalla folla, che è quella che vediamo chiedere sangue nel circo. E Lucilio, che, come Seneca è un uomo politico, non deve ricercare il consenso della massa, facendo mostra della sua cultura o della sua eloquenza, perché non sarebbe compreso. La folla si conquista solo abbassandosi al suo livello.
Ma neppure bisogna ricercare la totale solitudine: qualcuno c’è, che si può rendere migliore e dal quale si può essere migliorati. In fondo chi insegna ha sempre qualcosa da imparare da chi apprende. Come dice Seneca gli uomini “dum docent discunt” (mentre insegnano imparano).

Testo latino:

(…) Casu in meridianum spectaculum incidi, lusus exspectans et sales et aliquid laxamenti quo hominum oculi ab humano cruore acquiescant. Contra est: quidquid ante pugnatum est misericordia fuit; nunc omissis nugis mera homicidia sunt. Nihil habent quo tegantur; ad ictum totis corporibus ex positi numquam frustra manum mittunt. [4] Hoc plerique ordinariis paribus et postulaticiis praeferunt. Quidni praeferant? non galea, non scuto repellitur ferrum. Quo munimenta? quo artes? omnia ista mortis morae sunt. Mane leonibus et ursis homines, meridie spectatoribus suis obiciuntur. Interfectores interfecturis iubent obici et victorem in aliam detinent caedem; exitus pugnantium mors est. Ferro et igne res geritur. [5] Haec fiunt dum vacat harena. ‘Sed latrocinium fecit aliquis, occidit hominem.’ Quid ergo? quia occidit, ille meruit ut hoc pateretur: tu quid meruisti miser ut hoc spectes? ‘Occide, verbera, ure! Quare tam timide incurrit in ferrum? quare parum audacter occidit? quare parum libenter moritur? Plagis agatur in vulnera, mutuos ictus nudis et obviis pectoribus excipiant.’ Intermissum est spectaculum: ‘interim iugulentur homines, ne nihil agatur’.