Scontentezza, irrequietezza, noia: molti attribuiscono questi sentimenti al luogo in cui si trovano. Anche Lucilio scrive in una lettera al suo maestro di aver provato ad uscire da questa condizione penosa viaggiando continuamente. Ma Seneca sa bene che non è così che si può eliminare la tristezza, la depressione che ci tormenta.

Seneca saluta il suo Lucilio
credi che questo sia capitato soltanto a te e ti meravigli come di una cosa straordinaria che, con i tuoi viaggi così lunghi  e tanti cambiamenti di località, non ti sei scrollato di dosso la tristezza e il peso che opprimono la tua mente? Devi cambiare l’animo, non il cielo (Animum debes mutare, non caelum). (…)  A un tale che esprimeva questa stessa lamentela Socrate disse: “Perché ti stupisci, se i lunghi viaggi non ti servono, dal momento che porti in giro te stesso? Ti opprime  il medesimo motivo che ti ha fatto andare via”. A che può giovare vedere nuovi paesi? A che serve conoscere città e luoghi diversi? Non serve a nulla questa irrequietezza (In irritum cedit ista iactatio). Domandi come mai questa fuga non ti è utile? Tu fuggi con te stesso. Devi deporre il peso che grava sul tuo animo, prima di averlo fatto non ti piacerà alcun luogo. (…)

Vai di qua e di là per scuotere il peso che ti opprime e che diventa ancor più fastidioso per la stessa agitazione. Allo stesso modo su una nave i pesi stabili premono di meno, mentre quelli ammucchiati non stabilmente fanno affondare  più rapidamente a fondo quella parte in cui si trovano.  Qualunque cosa tu faccia, la fai contro di te e con lo stesso movimento ti fai del male: infatti stai scuotendo un malato (Quidquid facis, contra te facis et motu ipso noces tibi; aegrum enim concutis).  Ma quando ti sarai liberato da questo male, qualsiasi cambiamento di località sarà un piacere. Ti releghino pure nelle terre più lontane; ebbene, in qualsiasi cantuccio di terra barbara  ti troverai, quale che sia, lo troverai ospitale. E’ più importante in quale condizione di spirito tu sia che dove tu stia andando,  pertanto non dobbiamo legare il nostro animo ad alcun luogo. Bisogna vivere con questa convinzione: “Non sono nato per stare in un cantuccio, la mia patria è l’universo intero” (non sum uni angulo natus, patria mea totus hic mundus est’).. Se questo concetto ti fosse ben chiaro, non ti meraviglieresti di non trovare alcun conforto nei diversi luoghi in cui ti sposti continuamente  per la noia che ti provocano quelli  precedenti. Infatti ti sarebbe piaciuto ogni luogo in cui saresti capitato,  se lo avessi  considerato tuo. Ora non viaggi, ma erri e ti lasci trasportare, passi da una località all’altra, benché ciò che cerchi, il vivere secondo virtù, si trovi in altro luogo (…).

Orbene, per quanto tu puoi, metti te stesso in stato di accusa, inquisisciti, sostieni prima il ruolo di accusatore, poi di giudice, e da ultimo, di difensore. Talvolta sii duro con te stesso. Stammi bene.

 

Insomma, visto che siamo costretti per tutta la vita a convivere con noi stessi, l’unico modo in cui possiamo sperare di stare bene è migliorarci. E questo passa da un esame impietoso del nostro animo alla ricerca di quei vizi che ci fanno soffrire. Per Seneca sono soprattutto la smania di ricchezze e  il desiderio di approvazione da parte degli altri, il non capire quale è veramente la nostra natura e il progetto di vita che gli dei hanno scelto per noi,  l’agire secondo le convenzioni: insomma un lavoro immane, ma la filosofia può aiutarci.

 

Testo latino:

Seneca Lucilio suo salutem
Hoc tibi soli putas accidisse et admiraris quasi rem novam quod peregrinatione tam longa et tot locorum varietatibus non discussisti tristitiam gravitatemque mentis? Animum debes mutare, non caelum. (…)
Hoc idem querenti cuidam Socrates ait, “quid miraris nihil tibi peregrinationes prodesse, cum te circumferas? premit te eadem causa quae expulit”. Quid terrarum iuvare novitas potest? quid cognitio urbium aut locorum? in irritum cedit ista iactatio. Quaeris quare te fuga ista non adiuvet? tecum fugis. Onus animi deponendum est: non ante tibi ullus placebit locus.

Vadis huc illuc ut excutias insidens pondus quod ipsa iactatione incommodius fit, sicut in navi onera immota minus urgent, inaequaliter convoluta citius eam partem in quam incubuere demergunt. Quidquid facis, contra te facis et motu ipso noces tibi; aegrum enim concutis. At cum istuc exemeris malum, omnis mutatio loci iucunda fiet; in ultimas expellaris terras licebit, in quolibet barbariae angulo colloceris, hospitalis tibi illa qualiscumque sedes erit. Magis quis veneris quam quo interest, et ideo nulli loco addicere debemus animum. Cum hac persuasione vivendum est: ‘non sum uni angulo natus, patria mea totus hic mundus est’. Quod si liqueret tibi, non admirareris nil adiuvari te regionum varietatibus in quas subinde priorum taedio migras; prima enim quaeque placuisset si omnem tuam crederes. Nunc <non> peregrinaris sed erras et ageris ac locum ex loco mutas, cum illud quod quaeris, bene vivere, omni loco positum sit. (…)

Ideo quantum potes te ipse coargue, inquire in te; accusatoris primum partibus fungere, deinde iudicis, novissime deprecatoris; aliquando te offende. Vale.