
Creò la Congregazione
della “Carità carnale”
Fu acclamata come santa
dal popolo di Napoli. Ma fu
condannata dall’Inquisizione
come eretica, accusata
di riti orgiastici e di aver
elevato il proprio organo
genitale a oggetto di culto
Suor Giulia che predicò la sessualità mistica
<I più bei giovani venivano riservati a me. Io ero seduta. I prescelti si inginocchiavano uno per volta di fronte a me e mi baciavano. In poco tempo andavo in “estasi”. A me la cosa sembrava naturale. Invece padre Aniello diceva che questa era l’estasi di una Santa. Siccome era in mio guadagno, accettavo ben volentieri la spiegazione>.
Nel suo racconto Giulia Di Marco sorvola sul fatto che lei era nuda e ciò che i prescelti baciavano erano le sue “parti impudiche”, che padre Aniello chiamava “porte aperte del Paradiso”. Altro dettaglio non irrilevante è che Giulia era una suora. Una suora che nella Napoli del primo 600 era venerata come una santa e aveva centinaia di devoti e decine di adepti che la chiamavano “madre”.
Ad essere venerata come una santa non fu certo l’unica. Tra 1500 e 1600 furono decine le suore che manifestarono la loro santita e ne acquisivano l’aureola. La Chiesa ne censì più di cento, anche se ne certificò solo quattro. Le chiamavano sante in vita. C’era anche qualche uomo che acquisì il titolo, ma la maggior parte erano donne.
Sarebbe interessante approfondire la ragione del fatto che, sia il “rapporto” col demonio, cioè le streghe, sia quello con il divino, cioè le sante, fosse una prerogativa quasi esclusivamente femminile, ma ci farebbe perdere il filo del racconto.
Il percorso della santificazione era abbastanza standard: vite interamente dedicate alla preghiera, ma ancor di più ai patimenti e alle automortificazioni: digiuni, cilici, autoflagellazioni, sofferenze di vario genere e infine visioni, estasi, divinazioni, miracoli.
Il successo presso i fedeli era ovviamente enorme. Perchè il contatto con una santa viva era ben più benefico dell’adorazione di una reliquia. A lei si chiedevano grazie e prodigi e attraverso lei si pensava di entrare in contatto direttamente con Dio.
Va da sè che costoro si dividevano in due categorie, un certo numero di instabili psichiche e invasate. E molte astute simulatrici. Ma il confine tra delirio mistico e doti miracolistiche da un lato e l’assatanamento e le pratiche diaboliche dall’altro è molto sottile e infatti alcune di loro finirono sotto i ferri dell’ Inquisizione.
Le manifestazioni della loro santità erano quasi sempre corporee: pallore, magrezza, piaghe, sangue, deliqui, emanazione di luce ecc. Il corpo vissuto come negatività, in quanto materia, rispetto al positivo dello spirito. Un corpo quindi che andava negato, colpito, martoriato per avvicinarsi al divino. I cinque sensi erano le vie attraverso le quali il diavolo penetrava nell’uomo. I sensi erano fonte di peccato e andavano repressi e soppressi. E ovviamente il sesso era la quintessenza dei sensi ed era il diavolo nella sua forma piu tentatrice e potente.
Anche nel caso di Giulia Di Marco il corpo era al centro, ma, secondo una visione diametralmente opposta, era l’incarnazione del sacro e l’oggetto della venerazione. Anche la sua era una santità carnale, ma in essa i sensi erano spacciati come le porte verso il divino.
Giulia Di Marco nasce in Molise nel 1574 o 75 da una famiglia molto umile. Il padre è un bracciante e la madre è figlia di un bracciante e una schiava turca. Morto il padre viene mandata come domestica presso la famiglia di un mercante a Campobasso. Morto anche costui, segue la di lui sorella a Napoli. Sedotta da un giovane servo, ha un figlio che consegna alla ruota dell’ospedale Ss. Annunziata. Morta anche la donna presso cui serve e rimasta sola, diventa terziaria francescana. Le terziarie erano suore laiche, di regola vedove o anziane, lei invece è ancora giovane, anche se, pare, bruttarella, bassa e di pelle scura, presa dalla nonna turca.
Giulia si mostra subito presa da grande fervore religioso e si dedica ad opere di carità. Nel giro di qualche tempo acquisisce una certa fama in città e qualcuno comincia a parlare di santità.
Il suo modello è un’altra santa napoletana, ormai a fine carriera per via dell’età, ma personaggio di grande fama e rilievo, la divina Orsola Benincasa. Che già all’età di dieci anni aveva manifestato le prime estasi, divenute, col passare degli anni, sempre più frequenti a prolungate sino a durare un’intera giornata.
Orsola aveva anche il vantaggio del cognome, Benincasa, lo stesso di Caterina da Siena, prototipo di tutte le sante vive. Cosa che le consentì di rivendicare la discendenza dalla santa senese, ma non era vero.
Le sue estasi erano accompagnate da aumento della temperatura, risate, canti, suoni d’organo, dialoghi a due voci, si parlò anche di levitazione. Lei diceva di essere latrice di un messaggio di Gesù e di essere sposa del Signore. Invocava crociate contro gli eretici e lanciava anatemi sul popolo dei peccatori. Si ritirò poi in eremitaggio e fondò una congregazione che divenne la filiale femminile di quella dei teatini. Fu sottoposta ad esame da parte dell’Inquisizione e san Filippo Neri, l’esaminatore, ne riconobbe le virtù, seppur senza entusiasmo.
Ma torniamo a Giulia. E’ a questo punto, siamo nel 1605, che compare accanto a lei padre Aniello Arciero, suo confessore e guida spirituale. Don Aniello è un trentenne di un certo fascino e vede nell’umile e ignorante Giulia una buona opportunità.

Ritratto di suor Orsola Benincasa
Uno dei requisiti principali di una santa è il potere di oracolare e così il prete organizza la cosa. Lui riferisce alla suora tutto ciò che apprende durante le varie confessioni poi consiglia ai confessati di rivolgersi a suor Giulia per avere consigli e conforto. E lei mostra di sapere tutto di loro, senza mai averli incontrati prima. Per completare il quadro Giulia comincia a raccontare di avere visioni mistiche. Mostra anche di possedere un certo carisma. Come santona ha stoffa e nel giro di breve tempo raccoglie un certo numero di seguaci, che la chiamano Madre
Tra i due c’è ormai un legame forte. Racconta suor Giulia: <Durante le confessioni mi riempiva la testa di belle parole. Ma dalle parole passò ai fatti. Mi toccava dappertutto. Lui diceva che era per mettere alla prova la mia devozione e la sua. Finì che andammo a letto insieme>.
E fin qui nulla di eccezionale, non era infrequente che tra un confessore e una suora ci fossero rapporti sessuali, come testimoniano molti processi dell’epoca.
Aniello però si spinge più in là e spiega a Giulia che congiungersi con una santa non è peccato, anzi è il modo migliore per trasmettere i doni soprannaturali della santa a un suo discepolo. Racconta l’Arciero: <avvertivo un sollevamento di mente a Dio particolare con un affettuoso ardore, e all’emissione del seme esclamavo “Gesù mio, Gesù mio”>. Insomma la convince che i loro sono accoppiamente mistici e che l’orgasmo è il raggiungimento di un’estasi altrettanto mistica, il massimo avvicinamento a Dio.
Forse convinta dalle belle parole del suo confessore, che elevavano il suo corpo a tramite con il divino o forse no, comunque la cosa alla suora non dispiace. Tanto che si troverà a dover interrompere con aborti cinque o sei gravidanze.
Non sappiamo se don Aniello fosse consapevole che concetti molto simili (facendo a meno di sante e santi però) appartenevano ad alcune correnti dell’induismo e di altre religioni precedenti il cristianesimo. Probabilmente no.
Comunque sia don Aniello è così entusiasta di questa sua elaborazione attorno alla spiritualità del sesso, che propone di fare partecipare altre persone a <questo prezioso dono communicatoli da Dio>. Giulia è titubante, teme che allargare il giro possa procurarle le ire della Chiesa. Ma alla fine accetta, non si può tenere solo per sè un tale dono della provvidenza, non è caritatevole..
E così alla venerazione del corpo di Giulia e alle pratiche di sesso mistico viene ammessa anche la cerchia più ristretta degli adepti, che Giulia chiama figli e figlie.
E’ a questo punto che, richiamato da qualche voce che gira, alla coppia si aggiunge un terzo personaggio. Giuseppe de Vicariis, un gentiluomo caduto in povertà, avvocato, sposato con figli, noto per la «facondia naturale» e per una notevole perizia nell’«arte di simulare». <Nobile di poca moneta ma di grande istruzione> lo descrive Giulia.
Don Aniello aveva elaborato una teologia del sesso mistico, ma è De Vicariis a intuire che suor Giulia può essere una miniera d’oro e propone di dare al gruppo l’assetto organizzativo di una vera e propria setta, che prende il nome di setta della Carità carnale. E sulla base di questa di mettere in piedi una piccola congregazione religiosa, una sorta di secondo livello e volto pubblico della setta, della quale lui diviene il manager.
I due spiegano agli adepti che l’atto sessuale non è peccato, che, anzi, può avvicinare uomini e donne a Dio come e più di una preghiera. E che «l’accesso diretto alle parti intime» di suor Giulia è un atto di carità e di misericordia.
E così, dopo aver condiviso con la Madre le preghiere ed aver baciato le porte del paradiso, i discepoli, in numero uguale di uomini e donne, spegnevano le candele, e si accoppiavano. Questi riti orgiastici vengono tenuti segreti. Giulia conduce una sorta di doppia vita: santa in pubblico e sacerdotessa del sesso in privato.
Il problema è quello di tenere separati i due livelli, ma non del tutto, perchè l’appeal della nuova congregazione sul mercato delle santità viventi, sta proprio nell’originale elaborazione teologica. Questo delicato equilibrio è governato dal De Vicarijs, che si occupa anche dei rapporti con le autorità religiose, riuscendo a quanto pare far funzionare le cose.
Nel giro di breve tempo la congregazione della “Carità carnale” acquista grande seguito. <La mia casa – racconta suor Giulia – era frequentata da persone di ogni ceto. Venivano da me anche molti nobili e nobildonne. Non mancavano i preti>. Quel che non è noto è quale fosse il grado di conoscenza, da parte del pubblico largo, delle teorie e delle pratiche carnali che si svolgevano all’ombra della tonaca o a dir meglio dell’assenza di tonaca della santa.
Una cosa però è certa, suor Giulia non si sottopone a digiuni, patimenti e punizioni corporali. Il carnale di cui parlano i tre è un carnale di cui godere, è fonte di gioie. In questo Giulia è lontanissima dalla più importante Orsola, capace solo di lanciare maledizioni e promettere la vendetta di Dio per i tanti peccati della carne. E questa novità alla gente piace.
Il seguito ed il clamore che la nuova santona suscita non piace invece alla potente congregazione dei Teatini, per il timore che ciò metta in ombra la loro protetta, la Benincasa. Viene organizzato anche un incontro tra le due “sante”. Ma non sortisce effetti, visto che Giulia non si inchina alla santa più blasonata e la nobile Orsola non nasconde la sua antipatia per l’umile francescana. Qualcuno commenta: anche le sante soffrono di invidia.
Questo santo contrasto mette in allarme il tribunale napoletano del S. Offizio, che nel 1607 apre un’inchiesta sulla Di Marco, per verificarne la santità. Monsignor Gentile, l’inquisitore, non trova che qualcosa di particolarmente grave accada nella congregazione, riscontra solo alcune condotte sconvenienti. Dunque nessuna condanna, ma la decisione di allontanare da Napoli sia suor Giulia sia padre Arciero. Il secondo, ritenuto colpevole solo di azioni imprudenti, è privato della confessione e spedito in un convento di Roma. Non tornerà mai più a Napoli
La donna viene rinchiusa in un monastero di Napoli. Ma, visto che la sua fama ed il suo seguito non scemano, viene trasferita in un monastero di Nocera Pagani. Dove le viene assegnato un nuovo confessore, un padre teatino. Il quale però, dopo averla conosciuta, si mette a dire un gran bene di lei e riconosce che i suoi propositi sono di una grande spiritualità. <In fondo tutti gli uomini sono uguali, preti o non preti, basta saperli prendere per il verso giusto> commenta Giulia. Non è dato sapere cosa intendesse concretamente con il termine “prenderli per il verso giusto”.
La svolta arriva nel 1611, quando il vescovo di Nocera è nominato commissario dell’Inquisizione. Caso vuole che costui si chiami De Vicariis come l’astuto avvocato, che falsificando alcuni documenti si spaccia per suo parente e, forte di questa parentela, riesce ad ottenere che la sua prediletta torni a Napoli.
E’ una sostanziale riabilitazione. Così che l’ingiusta punizione subita ottiene l’effetto di accrescere la sua fama di santità. <Era tanto divulgata la sua santità che quando si partì da Nocera furono in questa città sonate le campane e tutto il popolo se l’ingenocchiava per pigliare la sua benedizione, conforme si fa al papa in Roma>. E il suo ritorno a Napoli avviene <con tanta gloria e con tanto fausto che non si parlava d’altra cosa per tutta la città con dire che quella santa era stata calunniata, e che il S. Offizio l’aveva dichiarata per santa, e che l’unione attuale perpetua con Dio già s’era chiarita per vera>. Insomma un trionfo.

Particolare del quadro di Caravaggio “Le sette opere della misericordia”, che qualcuno ritiene ispirato alla predicazione di suor Giulia D Marco
De Vicariis torna in piena attività e con lui la congregazione. I devoti a suor Giulia, nella città di Napoli, si moltiplicano e tra questi accorrono in gran numero gli appartenenti all’aristocrazia e gli uomini più in vista della città. <I primi signori e titolati della città facevano a gara per averla in casa loro e trattarvi>. Tra loro anche Caterina de Sandoval, contessa di Lemos e moglie del vicerè di Napoli. Giulia si muove in città solo in carrozza <in compagnia di molte signore e con seguito di gran popolo>.
Qualcuno ha ipotizzato che la figura femminile che porge un seno nudo ad un vecchio, nel quadro di Caravaggio “Le sette opere della misericordia”, sia ispirata proprio a suor Giulia o comunque influenzata dall’attività della congregazione di carità carnale, che Caravaggio conosceva trovandosi a Napoli in quel tempo, ospite della famiglia Colonna, anch’essa seguace della congregazione. Secondo altri anche la scultura del Bernini, “Estasi di Santa Teresa” sarebbe ispirata alle estasi carnali di Giulia. Ma entrambe le tesi appaiono dubbie.
<Il nobile Don Alfonso Suarez – racconta Giulia – che aveva altissimi incarichi, mise a mia disposizione la sua casa in modo che potessi ricevere i fedeli della congregazione>.
E ancora Giulia narra che: <Non potendo riprendere le mie belle abitudini in quella casa, mi trasferii in un amplissimo appartamento sulla collina Fonseca, verso Capodimonte,che adibii a mia dimora e a sede della congregazione. In questa nuova dimora, formata da tante stanze, ripresero i piacevoli incontri tra i seguaci dei due sessi della congregazione. Ripresero anche i miei incontri con i più giovani e aitanti di loro. Ora tutta la nobiltà napoletana era partecipe>.
Secondo le risultanze dell’inchiesta, condotta dal Sant’Uffizio, nella casa di Capodimonte vi sono una serie di stanze che rappresentano una sorta di percorso iniziatico. Chi ha accesso alle stanze via via successive è selezionato in base all’attività che vi si pratica. Gli uomini sposati e al di sopra dei 25 anni sono esclusi dalla stanza dove si trova suor Giulia e dunque dal contatto col suo corpo. Debbono fermarsi nelle stanze dedicate alla preghiera (quella classica). I maschi più giovani invece sono ammessi al cospetto della santa e, dopo averne onoroato il corpo e le sue parti intime, ricevendo così la tanto sospirata carità carnale, possono incontrarsi con le consorelle e le figlie della “Madre”, costoro di tutte le età, nell’ultima stanza, la più esclusiva. E quivi accoppiarsi a seconda del caso. Quindi al ventenne poteva capitare una devota piuttosto attempata.
E’ opportuna anche qualche precauzione. <A causa del gran numero di fedeli che seguivano le mie preghiere, c’era la possibilità che qualche gentiluomo potesse incontrare donne della sua famiglia che a sua insaputa frequentavano la congregazione. Per evitare questi incontri fortuiti nei piccoli gruppi che si formavano e che poi si ritiravano nelle varie camere per unirsi sessualmente, ero molto attenta a che Giuseppe de Vicarijs, nello sceglierne i partecipanti, in numero pari di uomini e donne, non facesse capitare questo inconveniente>.
Il successo della suora, venerata ormai come una vera e propria santa dal popolo di Napoli, non può non suscitare reazioni e ostilità. Innanzitutto da parte dei soliti Teatini, che vedono pressochè dimenticata la loro sant’Orsola. Ma anche da parte del Vaticano che da qualche tempo maltollera queste santone laiche, fuori dal controllo delle gerarchie.
Questa volta i frati Teatini si muovono con più decisione. Riescono a convincere una delle “figlie” di suor Giulia a raccontare quel che accade nella congregazione o forse le fanno raccontare quel che serve per accusare l’odiata santona. E così ripartono all’attacco con le accuse di pratiche ereticali.
Suor Giulia e il suo mentore corrono ai ripari cercando di affiliare la congregazione a quella dei Gesuiti. I quali, fors’anche per rivalità coi potenti Teatini, si schierano con la suora. Che gode anche di altri appoggi molto importanti, come la corte degli Asburgo.
Lo scontro tra i due schieramenti diviene anche uno scontro politico, tra il vicerè spagnolo, che mal sopporta l’ingerenza del Papa nelle faccende napoletane e il Vaticano che, di contro, non gradisce che la corte di Napoli ficchì il naso in faccende squisitamente religiose.

Hugo Monforte di Lemos, vicerè di Napoli all’epoca dei fatti
Suor Giulia viene accusata dagli investigatori Teatini anche di avere ricevuto in dono da un angelo ribelle un anello magico che vibra e fa prodigi. Il 31 luglio 1614 quattro preti “pentiti” la denunciano davanti al tribunale napoletano del S. Offizio.
I partigiani della Di Marco hanno complici anche dentro il Sant’uffizio napoletano, così scoprono l’identità dei testimoni e li minacciano. Il viceré avoca il processo davanti ai tribunali reali, e minaccia i Teatini di espulsione dal Regno di Napoli. In città si rischiano tumulti di popolo.
Il Sant’uffizio decide di uscire dall’impasse con un colpo di mano. Fa prelevare suor Giulia e nottetempo la fa portare a Roma sotto scorta. E’ uno schiaffo per i governanti spagnoli, ma la loro reazione, nel giro di qualche giorno, si spegne.
Da Roma giunge notizia che Giulia Di Marco e i suoi due mentori stanno ammettendo le loro colpe e che tutta l’aristocrazia napoletana, compresa la viceregina, potrebbe essere coinvolta nello scandalo. Meglio ritirarsi in buon ordine e abbandonare Giulia al suo destino.
“…Abiuro, maledico detesto et anatamatizzo le suddette eresie, quali dicono, che gl’atti carnali, anche con pollutione procurata, non sono peccati…”. Il 12 luglio 1615 Giulia Di Marcco abiura nella chiesa romana di S. Maria sopra Minerva. La suora e il prete sono giudicati colpevoli di eresia e condannati alla prigione perpetua.
Giulia Di Marco muore prigioniera nel Castel Sant’Angelo. Della sua morte non viene data notizia e non si sa nemmeno quando sia avvenuta. La caduta dalla santità e dalla fama ai ceppi e all’oblio è stata rapida e brutale.
Ma tutto ciò che suor Giulia ha confessato, sulla cui base abbiamo raccontato la sua storia, è accaduto davvero? Qualche dubbio è lecito. Si sa come andavano i processi dell’Inquisizione, i metodi erano convincenti e pur di evitare la morte molti erano disposti ad ammettere qualunque cosa.
Dopo la condanna uno dei suoi seguaci scrisse: <Che vuol dire, Padri, che quando confessavate Suor Giulia per anni tre continui era da voi per santa, ed ora per i pochi mesi che sta sotto la direzione de’ Giesuiti, la condannate per una Diavola?>.
E’ vero che per alcuni anni Giulia ebbe come confessore un padre teatino, che riconobbe non proprio la sua santità (non ne aveva il potere), ma che la donna era animata da una sincera e profonda devozione. Ma è anche vero che ciò avvenne mentre la suora era rinchiusa in un monastero lontana da Napoli e separata dalle sue due “guide”.
Essendo le fonti a disposizione solo gli atti del processo è difficile stabilire fino a che punto le accuse siano fondate e di lì in poi gonfiate ed arricchite di falsità. Alcune parti richiamano in modo sospetto clichè ricorrenti nelle confessioni delle eretiche del tempo.
Qualche dubbio è lecito averlo sulle orge che avrebbero coinvolto decine di persone. Appare molto improbabile che ciò sia avvenuto, per di più con la partecipazione di personaggi altolocati e un notevole numero di donne, senza che nulla per anni sia trapelato.
I congiungimenti carnali di gruppo, ammesso che ci siano stati, molto probabilmente coinvolgevano solo la cerchia più ristretta dei fedelissimi.
Ma anche ammesso che una parte delle “nefandezze” attribuite alla suora non abbia fondamento o sia stata gonfiata. La vicenda di suor Giulia conserva tutta la sua eccezionalità.
Migliaia di persone hanno acclamato una “santa” che aveva ribaltato alcuni fondamenti della teologia cattolica per i quali il corpo è luogo e strumento di tentazione e peccato, considerandolo invece la forma materiale della spiritualità, fino a fare del corpo stesso e della sua parte femminile più impudica un oggetto di culto. E aveva propagandato la trasformazione del sesso da strumento del demonio a strumento di Dio.
Anche se il seguito che ebbe fu in buona parte dovuto al richiamo che chiunque acquistasse nomea di santa esercitava presso la gente, indipendentemente dalle tesi professate. Non c’è dubbio che il seguito che suor Giulia ebbe fu davvero straordinario.
giorgio gazzotti
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