l libro è uscito in italiano nel 2017, ed è divenuto un film di Nanni Moretti, con lo stesso titolo, presentato quest’anno al festival di Cannes.
Il romanzo è stato sicuramente per me la lettura più coinvolgente e commovente di questa estate. Si tratta in realtà di tre lunghi racconti, legati dal fatto che i protagonisti abitano nella stessa palazzina borghese alla periferia di Tel Aviv, ma i rari incontri tra loro non influiscono sulla trama. L’altro legame, sottolineato nell’introduzione al libro da una delle traduttrici, (Ofra Bannet) concettualmente molto più sottile, confesso che un po’ mi è sfuggito. Si tratterebbe dell’intento di <descrivere la vita di tre famiglie sulla base delle tre diverse istanze freudiane – Es, Io, Super-io – della personalità>.
La struttura narrativa è simile: tutti e tre i protagonisti si rivolgono in prima persona ad un interlocutore per raccontare la propria storia e, inevitabilmente, il lettore è chiamato in causa da questa scelta stilistica piena di allocuzioni che richiederebbero una risposta dal destinatario, che ovviamente non c’è. Così il lettore gradualmente si sostituisce all’interlocutore fittizio nel tentativo di interpretare i sentimenti e le motivazioni dei personaggi, di separare il vero dal falso.
La prima storia è quella di Arnon, marito di Ayelet. La coppia affida talvolta la figlioletta primogenita ad un’anziana coppia di origine tedesca, Ruth ed Hermann. Lei insegna pianoforte al conservatorio, lui è un pensionato colto e raffinato, che purtroppo entra gradualmente nel tunnel dell’Alzheimer. Il matrimonio dei giovani genitori è segnato da molte tensioni, che Arnon attribuisce soprattutto al carattere della moglie, donna forte e indipendente, avvocato, che deve gestire una famiglia impegnativa e che non riesce ad essere una buona madre. Ma il catalizzatore di queste tensioni è un’azione innocente ed inconsapevole di Hermann, peraltro senza conseguenze, a cui era stata affidata per qualche ora la bambina. Azione che scatena la follia inquisitrice e distruttiva di Arnon, che per tutto il racconto cerca di giustificare il suo discutibile operato, motivato però da una sofferenza autentica.
Al secondo piano Hani, madre di due bambini e moglie di Assaf, è una donna profondamente sola (il marito è costantemente all’estero per lavoro), che regge a stento la condizione di casalinga e madre a tempo pieno di due bambini, aggravata dal timore di ammalarsi come sua madre, ricoverata in un ospedale psichiatrico. Nella lunga lettera che invia ad un’amica è difficile individuare, lo ammette la stessa Hani, quanto la sua dolorosa condizione dipenda dal comportamento del marito, che lei descrive poco coinvolto nella vita familiare e quanto sia frutto invece del suo stato psicologico. Ma poco importa: la sofferenza è autentica e la si percepisce con angoscia. Anche in questo caso il racconto ha uno sviluppo narrativo.
Un giorno bussa alla sua porta Eviatar, il cognato che non vede da dieci anni, col quale il marito ha interrotto tutti i rapporti, finito nei guai per speculazioni truffaldine. Hani è sola in casa, il marito è come al solito all’estero. Eviatar deve scappare dal paese, inseguito da polizia, creditori e malavitosi. Hani, mettendo a rischio la propria incolumità e il proprio matrimonio lo aiuta, trovando in lui la dolcezza e le premure, anche nei confronti dei figli, che il marito non ha mai avuto. Ma gli sviluppi successivi inducono la stessa protagonista e, tanto più, il lettore-interlocutore a dubitare dell’effettiva sussistenza dell’accaduto.
Il racconto di Dovra, inquilina del terzo piano, è sicuramente il più appassionante e commovente. Vedova, giudice in pensione, sceglie come interlocutore il marito defunto, anche lui magistrato, e registra la sua storia su una vecchia segreteria telefonica. La vita di Dovra, regolata dal rigido rispetto delle convenzioni sociali, è segnata dalla perdita del figlio Arad. Arad non è morto, ma è come se lo fosse: ragazzo difficile, poco integrato, lontanissimo dall’ideale di figlio che i genitori, soprattutto il padre, avrebbero voluto, ha commesso un’azione terribile, che lo ha escluso completamente dalla vita della famiglia.
Nonostante Dovra lo sperasse non si è rifatto vivo neppure in occasione della morte del padre. Ma lei non si arrende al dolore: ormai anziana, vedova, privata del figlio ha voglia di ricominciare a vivere e decide di partecipare ad una manifestazione contro il governo. In questa occasione ritrova un suo ruolo di consulente legale di gruppi di contestatori e, soprattutto, incontra Avner, un anziano signore. E questo incontro le cambierà la vita, più di quanto si possa immaginare. La parte conclusiva del racconto, che si muove su una trama di sentimenti delicata e fragile come una tela di ragno, è travolgente e, allo stesso tempo, realistica.
E’ un racconto su cui si sente il bisogno di tornare, dopo essere corsi alla conclusione, per approfondire i rapporti tra i personaggi e dinamiche familiari, più comuni di quanto si potrebbe pensare. Una lettura con un risvolto quasi didascalico, che fa riflettere, toccando corde molto profonde, sul mestiere difficilissimo di padri e di madri.
Come Nostalgia(2004) e Simmetria dei desideri (2007), opere che hanno dato fama internazionale ad Eshkol Nevo (Gerusalemme, 28 febbraio 1971), Tre Piani racconta la vita di personaggi molto umani, che, soprattutto nell’ultimo dei racconti, riescono a rialzarsi nonostante i colpi subiti.
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