Aveva ventisei anni Giacomo Longhi quando arrivò in Eritrea (dal Piemonte), nell’inverno del 1890, ufficiale della spedizione coloniale italiana. Il suo cognome sarà ereditato dal bisnipote Vittorio, autore del memoriale “Il Colore del nome”,  giornalista e scrittore che fino a quarant’anni non si era mai posto molte domande sull’origine di quel cognome e di quel nome (Vittorio,  scelto da Giacomo per il primo figlio, concepito con la domestica sedicenne eritrea,  è chiaramente un omaggio alla dinastia sabauda). Figlio di una imprenditrice italiana, Vittorio Longhi cresce nelle Marche, legato alla famiglia della madre di origine abruzzese, e dirige attualmente  un’agenzia di stampa a Bruxelles.  Fa i conti tutti i giorni con il dramma dell’immigrazione e del razzismo, ma da italiano/europeo. Il padre, italiano di origine eritrea, figlio del primo Vittorio, non è mai entrato a far parte della sua esistenza: lo ha visto solo una volta in tutta la sua vita. Ma una mail ricevuta da una cugina eritrea, rifugiata in Svezia, lo porta a riscoprire gradualmente, e il lettore con lui, la sua metà africana. E con essa la storia del colonialismo italiano, poco conosciuta, quasi rimossa dalla coscienza nazionale.  Un libro avvincente e interessante, che si legge tutto d’un fiato per il desiderio di scoprire  gli snodi e i segreti  una storia familiare drammatica, che coinvolge quattro generazioni. Ma soprattutto un tributo dello scrittore all’intelligenza e alla tenacia di due grandi donne: Gabrù, la bisnonna eritrea, che cresce da sola, con enormi sacrifici,  i due figli meticci di Giacomo Longhi (che, come era consuetudine, non si occupò mai di loro), e la madre di Vittorio, Loretta,  anche lei, coraggiosa e indomita madre single, abbandonata dal compagno, che si comporta ottant’anni dopo come il bisnonno colonizzatore italiano.

Chi volesse sapere qualcosa di più del libro e dell’autore può leggere l’intervista di Lorenzo Cremonesi a Vittorio Longhi pubblicata sul “Corriere della Sera ” il 21 febbraio 2021.