E’ uno di quei libri che, quando li finisci, ti lasciano un vuoto dentro, come quando se ne va un amico che non sai quando potrai rivedere.
Premetto che è un modo di scrivere, quello di Carrère, che può lasciare interdetti. Non parlo di libri come L’Avversario o Limonov, tutto sommato dall’impianto tradizionale, che si leggono tutti di un fiato trascinati  anche dalla trama. Ma piuttosto di quelli come Il regno, o ancora di più, Vite che non sono la mia fatti di storie, personaggi, reali o inventati, episodi autobiografici.

In Yoga c’è tutto questo, e poi poesie, citazioni musicali e letterarie, anzi, meglio, racconti di musiche e di romanzi o racconti. E poi la storia, la grande storia, da cui l’autore è stato toccato: l’eccidio dei giornalisti di Charlie Hebdo, l’esodo biblico dei migranti visto da vicino nel campo profughi di Lesbo.
Ma il filo conduttore è lo yoga, o più esattamente la meditazione, di cui il libro cerca di dare molteplici definizioni. Qualche esempio: < Imparare ad abitare un sé non abitabile…… Stephen Hawking, da quanto ho letto, ha detto che la meditazione gli ha permesso di vivere prigioniero del suo corpo paralizzato>.
L’altro filo conduttore è la biografia di Carrère, che cerca nello yoga un rifugio dalla malattia mentale, una fortissima depressione dovuta a anche a un disturbo bipolare, che lo porta a essere ricoverato, a subire diversi elettroschoc e a sottoporsi a pesanti terapie farmacologiche.

E’ in un certo senso anche un libro filosofico: la meditazione è soprattutto accettazione della realtà così com‘è, nella consapevolezza che tutto finisce, anche la sofferenza o il dolore, così come, purtroppo,  la felicità. Ma non è facile, anche una volta che lo si è compreso razionalmente, accettare serenamente quello che la filosofia taoista ha classificato come  yin e yang , i due concetti del taoismo, che espongono la dualità di ogni cosa nell’universo, l’inscindibilità di bene e male, di luce e buio: <ogni situazione, ogni stato del mondo e della mente è una combinazione di yin e yang, una combinazione mutevole, transitoria, sempre in movimento verso un’altra combinazione. Ogni forza yin è destinata a trasformarsi in forza yang, e viceversa, come la notte in giorno e il giorno in notte>.
Ma per uno come lui, e credo per tanti,  prendere consapevolezza della grande legge dell’alternanza degli opposti non genera serenità, ma sofferenza. E questa sofferenza può diventare lettteratura: <Questo tira e molla è più o meno la storia di tutti gli uomini, solo che in me è portato all’eccesso, è patologico, ma siccome sono uno scrittore posso farne qualcosa. Devo farne qualcosa>.

Questo non significa però che non valga la pena tentare comunque il percorso che lo yoga indica.  E questo tentativo è, come si diceva, la materia principale del libro, non teoria , ma esperienza personale. Il risultato è un lungo racconto che sembra venire da un amico che ha voglia di confidarsi, che non teme di passare da un argomento all’altro, seguendo il flusso dei ricordi e delle emozioni.

Ma non bisogna lasciarsi ingannare: lo stesso autore dissemina il romanzo di indizi sulla difficoltà del fare letteratura, equiparata al montaggio di un film, che può portare a un risultato completamente diverso da quello che ci si era prefissi. Il racconto del proprio vissuto non è mai, di per sé, letteratura.

Tutto sommato il risultato che Carrere ha raggiunto non è poi neanche così lontano da quello che si era prefisso prima di essere travolto dagli eventi e dalla malattia: <un libricino arguto e accattivante sullo yoga>. Ma c’è molto di più perché nel disegno originale si è infilata la realtà: l’attualità, la malattia mentale.

Certo la consapevolezza che dentro ciascuno di noi esista un rifugio dove trovare un po’ di pace e di silenzio può aiutare, anche se, come afferma Carrère: <È una stanza che hai dentro di te, basta spingere la porta per entrare. Conosci la strada, hai la chiave, devi poterci tornare quando vuoi. Errore, illusione da proprietario. La stanza è sempre lì, è vero, niente è più semplice che entrarci ma non possiamo farlo tutte le volte che vogliamo perché entrarci è semplice, però noi non lo siamo…>.