Giacomo Leopardi non è stato soltanto un grandissimo poeta, ma anche un altrettanto grande filosofo e moralista.
Il lungo Discorso (in realtà un breve trattato) fu composto molto probabilmente fra l’inverno e la primavera del 1824 e pubblicato postumo, solo molti anni dopo la morte del poeta, nel 1906. A lungo quasi del tutto trascurato a livello scolastico-accademico, è stato recentemente riscoperto e, per la sua stupefacente attualità e per gli spunti di riflessione che offre, potrebbe entrare anche nel canone delle letture scolastiche.
Nel 2011, in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, ci furono letture pubbliche del Discorso nei teatri di tutta Italia dell’attore Toni Servillo e di Massimo Cacciari e fu citato anche spesso da Roberto Saviano. E’ un pamphlet sulla mentalità, il carattere e la moralità della società italiana: sembra che Leopardi sia riuscito a descrivere non solo la peculiarità del popolo italiano in un momento della sua storia, ma ad individuarne caratteristiche quasi genetiche e quindi immutabili .
L’ acutezza dissacrante di Leopardi , pronta a contestare tutte le credenze e i valori che la sua epoca ritiene indiscutibili, lo porta a riflettere sui legami sociali nel mondo moderno, nel quale si è ormai diffusa una visione laica e disincantata della vita.
Anticipando Tocqueville [1], Leopardi capisce che la società moderna (che Tocqueville vede compiutamente realizzata nel suo viaggio in America del 1830) è fondata su interessi economici e non politici e ideali.. Leopardi constata (…) la quasi universale estinzione o indebolimento delle credenze su cui si possano fondare i principii morali, e di tutte quelle opinioni fuor delle quali è impossibile che il giusto e l’onesto paia ragionevole, e l’esercizio della virtù degno d’un savio, e da altra parte l’inutilità della virtù e la utilità decisa del vizio dipendenti dalla politica costituzionale delle presenti repubbliche.
I cittadini, quindi, non si riconoscono più in un mos maiorum che onorano solo a parole, ma regolano il loro comportamento sulla ricerca di ciò che è utile, in primo luogo per raggiungere obiettivi economici.
Gran parte di questa distruzione e disastro morale è dovuta all’Illuminismo, che ha svelato implacabilmente come i principii etici, spesso ammantati di un’aura religiosa, non sono altro che mascheramenti apparentemente razionali di paure, desideri, speranze che fin dall’antichità l’uomo ha provato a controllare .
L’Illuminismo (alla cui analisi razionale e distruttiva sulle false credenze della società, in particolare la religione, Leopardi aderisce convintamente) , ha distrutto per sempre i presupposti irrazionali su cui si fondano i valori .

In generale egli è certo che dopo la distruzione o indebolimento de’ principii morali fondati sulla persuasione, distruzione causata dal progresso e diffusione dei lumi, si verifica una cosa, che spesso affermata, è stata forse falsa in ogni altro tempo; cioè che nel mondo civile le nazioni, le provincie città, le classi, gl’individui più colti, più politi[2], sociali, esperimentati nel mondo, istruiti, e in somma più civili, sono eziandio i meno scostumati e immorali nella condotta, e in parte ancora ne’ principii, cioè in quei principii di morale che si fondano sopra discorsi e ragioni al tutto umane.

Quindi, al contrario di quanto si pensa comunemente, gli appartenti ai ceti più acculturati e “civili” non sono per nulla più “morali” , perchè proprio la cultura, l’istruzione distrugge la moralità. Ma questa distruzione dei valori rende impossibile un’etica condivisa e mette quindi in discussione la persistenza stessa della società :

(…) la conservazione della società sembra opera piuttosto del caso che d’altra cagione, e riesce veramente maraviglioso che ella possa aver luogo tra individui che continuamente si odiano s’insidiano e cercano in tutti i modi di muoversi gli uni agli altri. Il vincolo e il freno delle leggi e della forza pubblica, che sembra ora essere l’unico che rimanga alla società, è cosa da gran tempo riconosciuta per insufficientissima a ritenere dal male e molto più a stimolare al bene. Tutti sanno con Orazio, che le leggi senza i costumi non bastano, e da altra parte che i costumi dipendono e sono determinati e fondati principalmente e garantiti dalle opinioni.

“ Le leggi senza i costumi non bastano”: se i nostri comportamenti (costumi) non si modellano su convincimenti profondamente accettati e, a impedire la lotta tra gli individui per la supremazia economica e sociale, restano solo le leggi e il sistema di repressione dello stato, la società si basa su vincoli fragilissimi
Eppure la società resiste : ai valori del “mos maiorum” si è sostituito qualcosa, almeno nei paesi dell’Europa del Nord, di immensamente meno profondo ma ugualmente vincolante.

In questa universale dissoluzione dei principii sociali, in questo caos che veramente spaventa il cuor di un filosofo, e lo pone in gran forse circa il futuro destino delle società civili e in grande incertezza del come elle possano durare a sussistere in avvenire, le altre nazioni civili, cioè principalmente la Francia, l’Inghilterra e la Germania, hanno un principio conservatore della morale e quindi della società, che benché paia minimo, e quasi vile rispetto ai grandi principii morali e d’illusione che si sono perduti, pure è d’un grandissimo effetto. Questo principio è la società stessa.

Quindi in queste nazioni la classe dirigente, colta e benestante , che non deve dedicare l’intera esistenza alla ricerca di fonti di sostentamento, costituisce una società nella società. E’ la società stretta, all’interno della quale gli individui si frequentano, si scambiano idee ed opinioni, leggono e discutono le stesse opere, frequentano i teatri e si giudicano .

(…) Hanno quel genere più particolare di società che suole essere chiamato con qusto medesimo nome ridotto a significazione più stretta, e consiste in un commercio più intimo degl’individui fra loro, e massime di quelli, che dispensati dalla loro condizione dal provvedere coll’opera meccanica delle proprie mani alla loro e all’altrui sussistenza e forniti del necessario alla vita col mezzo delle fatiche altrui, mancando de’ bisogni primi, vengono naturalmente nel secondo bisogno, cioè di trovare qualche altra occupazione che riempia la loro vita, e alleggerisca loro il peso dell’esistenza, sempre grave e intollerabile quando è disoccupata. Questa tal società che è principalmente fra questi tali uomini, ha per fine il diletto e il riempire il vuoto della vita cagionato dalla mancanza de’ bisogni primi, e per causa ha i detti bisogni secondi.

All’interno di questa società stretta, nei paesi del Nord Europa, i valori morali sono stati sostituiti da qualcosa di più superficiale e opportunistico: l’onorabilità,la stima, l’ambizione il riconoscimento della proprie integrità da parte degli altri che disincentiva comportamenti difformi dalla morale comune, che verrebbero condannati dagli altri appartenti alla società stretta e porterebbero all’emarginazione del colpevole.

Coll’uso scambievole gli uomini naturalmente e immancabilmente prendono stima gli uni degli altri: cioè non già buona opinione, anzi questa è tanto minore in ciascuno verso gli altri generalmente, quanto il detto uso e quindi la cognizione degli uomini è maggiore; ma la stretta società fa che ciascuno fa conto degli uomini e desidera di farsene stimare (questa è propriamente la stima che si concepisce di loro) e li considera per necessarii alla propria felicità, sì quanto ad altri rispetti, sì quanto a questa soddisfazione del suo amor proprio che ciascuno in particolare attende desidera e cerca da essi, da’ quali dipende, e non si può ricever d’altronde. Questo desiderio è quello che si chiama ambizione, vincolo e sostegno potentissimo della società che non d’altronde nasce che da essa società ridotta a forma stretta. (…)
Questa stima della opinione pubblica, così piccola cosa come ella è, è pur da tanto che quasi basta nelle dette nazioni (ciascuna delle quali ne partecipa a proporzione delle sue circostanze sociali) a rimpiazzare i principii morali ugualmente perduti appresso di loro, massime nelle classi non laboriose, e gli altri vincoli della società, gli altri freni del male e stimoli del bene, in luogo de’ quali resta si può dire esso solo, ed è pur sufficiente a servire alla società di legame. Piccolissima e freddissima cosa ella è, come ho detto, non v’ha dubbio. Gli uomini politi di quelle nazioni si vergognano di fare il male come di comparire in una conversazione con una macchia sul vestito o con un panno logoro o lacero; si muovono a fare il bene per la stessa causa e con niente maggiore impulso e sentimento che a studiar esattamente ed eseguir le mode, a cercar di brillare cogli abbigliamenti, cogli equipaggi, coi mobili, cogli apparati….

In Italia, invece, la società stretta non si è formata e Leopardi prova ad indagarne le ragioni:

Ma oltre di questo, a differenza delle dette nazioni, ella è priva ancora di quel genere di stretta società definito di sopra. Molte ragioni concorrono a privarnela, che ora non voglio cercare. Il clima che gl’inclina a vivere gran parte del dì allo scoperto, e quindi a’ passeggi e cose tali, la vivacità del carattere italiano che fa loro preferire i piaceri degli spettacoli e gli altri diletti de’ sensi a quelli più particolarmente propri dello spirito, e che gli spinge all’assoluto divertimento scompagnato da ogni fatica dell’animo e alla negligenza e pigrizia; queste cose non sono che le menome e le più facili a vincere tra le ragioni che producono il sopraddetto effetto.

l’Italia è dunque un paese nel quale l’ onorabilità non rappresenta un valore, in cui gli appartenenti alla classe dirigente, che dovrebbero essere un modello per gli altri cittadini, non tengono alla loro reputazione e, anche se commettono azioni immorali,o addirittura reati, non vengono esclusi dalla società.

Mancando queste, e mancando la società stessa, non può avervi gran cura del proprio onore, o l’idea dell’onore e delle particolarità che l’offendono o lo mantengono e vi si conformano, è vaga e niente stringente. Ciascuno italiano è presso a poco ugualmente onorato e disonorato. Voglio dir che non è né l’uno né l’altro, perché non v’ha onore dove non v’ha società stretta, essendo esso totalmente una idea prodotta da questa, e che in questa e per questa sola può sussistere ed essere determinata. (…) Primieramente dell’opinione pubblica gl’italiani in generale, e parlando massimamente a proporzione degli altri popoli, non ne fanno alcun conto. Corrono e si ripetono tutto giorno cento proverbi in Italia che affermano che non s’ha da por mente a quello che il mondo dice o dirà di te, che s’ha da procedere a modo suo non curandosi del giudizio degli altri, e cose tali. Lungi che gl’italiani considerino, come i francesi, per la massima delle sventure la perdita o l’alterazione dell’opinion pubblica verso loro, e sieno pronti, come i francesi ben educati, a soffrire e sacrificar qualunque cosa piuttosto che incorrere anche a torto in questo inconveniente; essi non si consolano di cosa alcuna più di leggieri che della perdita eziandio totale (giusta o ingiusta che sia) dell’opinione pubblica, e stimano ben dappoco chi pospone a questo fantasma i suoi interessi e i suoi vantaggi reali (o quelli che così si chiamano nel linguaggio della vita)…,


Questo comportamento è motivato da un cinismo assoluto: gli Italiani moderni, al contrario dei Romani, non credono a nulla, non danno valore a niente .

Gl’italiani ridono della vita: ne ridono assai più, e con più verità e persuasione intima di disprezzo e freddezza che non fa niun’altra nazione. Questo è ben naturale, perché la vita per loro val meno assai che per gli altri, e perché egli è certo che i caratteri più vivaci e caldi di natura, come è quello degl’Italiani, diventano i più freddi e apatici quando sono combattuti da circostanze superiori alle loro forze. Così negl’individui, così è nelle nazioni.

Naturalmente tutto ciò reca un gravissimo danno ai costumi e alla società : questo assoluto cinismo produce poi una scarsa solidarietà tra i cittadini, che usano i rari momenti di conversazione come occasione per denigrarsi e offendersi, in cui ciascuno persegue la propria utilità anche in modo illecito, ben sapendo che non sarà questo a determinare la sua condanna e la sua emarginazione sociale. In un paese in cui viene ammirato non chi si comporta bene, ma chi è più tagliente a abile nel deridere gli altri.

Nasce da quelle disposizioni la indifferenza profonda, radicata ed efficacissima verso se stessi e verso gli altri, che è la maggior peste de’ costumi, de’ caratteri, e della morale. (…)
Per tutto si ride, e questa è la principale occupazione delle conversazioni, ma gli altri popoli altrettanto e più filosofi di noi, ma con più vita, e d’altronde con più società, ridono piuttosto delle cose che degli uomini, piuttosto degli assenti che dei presenti, perché una società stretta non può durare tra uomini continuamente occupati a deridersi in faccia gli uni e gli altri, e darsi continui segni di scambievole disprezzo. In Italia il più del riso è sopra gli uomini e i presenti. La raillerie il persifflage[3], cose sì poco proprie della buona conversazione altrove, occupano e formano tutto quel poco di vera conversazione che v’ha in Italia. Quest’è l’unico modo, l’unica arte di conversare che vi si conosca. Chi si distingue in essa è fra noi l’uomo di più mondo, e considerato per superiore agli altri nelle maniere e nella conversazione, quando altrove sarebbe considerato per il più insopportabile e il più alieno dal modo di conversare. Gl’Italiani posseggono l’arte di perseguitarsi scambievolmente

Non esiste in Italia un “mos maiorum”: ognuno si comporta come crede, o come è abituato a fare.

(…) lo spirito pubblico in Italia è tale, che, salvo il prescritto dalle leggi e ordinanze de’ principi, lascia a ciascuno quasi intera libertà di di condursi in tutto il resto come gli aggrada, senza che il pubblico se ne impacci, o impacciandosene sia molto atteso, né se n’impacci mai in modo da dar molta briga e da far molto considerare il suo piacere o dispiacere, approvazione o disapprovazione. Gli usi e i costumi in Italia si riducono generalmente a questo, che ciascuno segua l’uso e il costume proprio, qual che egli si sia. E gli usi e costumi generali e pubblici, non sono, come ho detto, se non abitudini, e non sono seguiti che per liberissima volontà, determinata quasi unicamente dalla materiale assuefazione, dall’aver sempre fatta quella tal cosa,

E’ difficile non riconoscere, in questo ritratto impietoso degli Italiani, caratteristiche che sono purtroppo vere ancora oggi: quanti appartenenti alla classe dirigente continuano la loro carriera, anche ai massimi vertici della politica, dopo che sono emersi comportamenti riprovevoli? Quanto è ancora diffusa l’ammirazione per chi, in ogni ambiente e situazione, viola le regole per un vantaggio personale (non fa’ certo eccezione la scuola) ? Quanto è vero che nel dibattito pubblico ,ora non più confinato nei salotti e nei caffè, ma esteso ai media (tv, social network) è più apprezzato chi deride o insulta, rispetto a chi cerca di esporre pacatamente un proprio ragionamento?
Eppure è del tutto evidente non solo che tali comportamenti sono nocivi per la società, quella del 1824, quella del 2019, ma anche per i singoli.

Sono incalcolabili i danni che nascono ai costumi da questo abito di cinismo, benché per verità il più conveniente a uno spirito al tutto disingannato e intimamente e praticamente filosofo, e da tutte le sovraespresse condizioni e maniere del nostro modo di trattarci scambievolmente. Non rispettando gli altri, non si può essere rispettato. Gli stranieri e gli uomini di buona società non rispettano altrui se non per essere ripettati e risparmiati essi stessi, e lo conseguono. Ma in Italia non si conseguirebbe, perché dove tutti sono armati e combattono contro ciascuno, è necessario che ciascuno presto o tardi si risolva e impari d’armarsi e combattere, altrimenti è oppresso dagli altri, essendo inerme e non difendendosi, in vece d’essere risparmiato. È anche necessario ch’egli impari ad offendere.

Ma la grandezza di Leopardi sta anche nella complesssità del suo pensiero e delle sue affermazioni. Come accade a noi tutti, il poeta oscilla tra pessimismo e speranza, tra la constatazione della perdita di tutti i valori, dovuta, come si diceva, alla radicale critica dell’Illuminismo, che ha distrutto le false credenze di una cultura millenaria, alla speranza che proprio questa critica così radicale possa portare alla creazione di nuovi principii e fondamenti., adatti ad una società adulta e razionale..
Dodici anni dopo il “Discorso”, Leopardi tornerà nella “Ginestra” sullo stesso argomento :

Così fatti pensieri
Quando fien, come fur, palesi al volgo,
E quell’orror che primo
Contra l’empia natura
Strinse i mortali in social catena,
Fia ricondotto in parte
Da verace saper, l’onesto e il retto
Conversar cittadino,
E giustizia e pietade, altra radice
Avranno allor che non superbe fole,
Ove fondata probità del volgo
Così star suole in piede
Quale star può quel ch’ha in error la sede

Quando il popolo, guidato da una cultura “ verace”, cioè che dichiara la verità, ritornerà all’etica del mondo antico , capirà che è la natura , e non gli altri uomini, il suo vero nemico. Solo allora la società (social catena) potrà essere fondata su principi solidi e non sulle “superbe fole” che hanno illuso gli uomini per millenni.

[1]Alexis Henri Charles de Clérel de Tocqueville (Parigi, 29 luglio 1805Cannes, 16 aprile 1859) è stato un filosofo, politico, storico è considerato uno degli storici e studiosi più importanti del pensiero liberale.
[2] politi= educati
[3] presa in giro e scherzo