cap precedente… 13) Espropri e rapine. Nasce Prima Linea

 

Spese proletarie e…. rapine

I collettivi legati a Rosso a Milano stanno crescendo. Uno dei più attivi è il collettivo Romana, capeggiato da Barbone e Coniglio. Sono arrivati alcuni giovani molto motivati. Invece dei nomi di battaglia, usati dalle Br, qui si usano i soprannomi.
C’è Luca Colombo, detto Svampa, insegnante alle medie; Maurizio Mirra, il Mascellone; Giuseppe Memeo, 17 anni, per tutti Terrone, perchè viene dalla Basilicata; Pasini Gatti detto Pablo, 24 anni, figlio di un dirigente della Sip, scuole private poi mollate perchè  si è sposato e ha una figlia di 5 anni, operaio e delegato Cgil; poi c’è il ventitreenne Giancarlo De Silvestri.

Dicembre 76 è un mese pieno, si alternano rapine ad espropri di massa. Quasi in duecento, guidati da Pancino, entrano in un supermarket e riempono i carrelli, mentre fuori Barbone, Coniglio, Mascellone, Pablo e Carcano, quest’ultimo con un fucile,  controllano le strade d’accesso. Ventura mostra la pistola a una cassiera che sviene. Un altro esproprio, pochi giorni dopo, fallisce, perchè un benzinaio chiama la polizia.

La vigilia di Natale si va in Emilia. Alunni, Mancini e ancora Bignami rapinano la banca di Castelnuovo. Con loro c’è anche Paolo Pozzi, un intellettuale che scrive sul giornale. Alunni l’ha costretto a partecipare «perché gli intellettuali che chiedono soldi per la rivista si rendano conto dei rischi dell’azione militare». I rischi sono pochi, ma qualcuno c’è. Mancini infatti viene arrestato perchè visto giorni prima aggirarsi in zona. Ma dopo pochi giorni è già libero.

Fallisce invece la rapina ad un’armeria di Bologna. Assieme a Bignami ci sono due varesini e due bolognesi, Massimo e il fratello di Barbara. In più si son portati dietro anche Tommei, che non è un combattente, anzi è un po’ fifone, infatti all’ultimo si defila. Massimo non riesce a neutralizzare l’armiere che urla e tutti scappano.

Le Brigate comuniste di Sebregondi, al Sud, invece continuano a sparare alle gambe. Il 25 novembre un’altro dirigente della Fiat di Cassino è ferito mentre apre lo sportello della sua auto nel parcheggio dell’azienda. Qualche giorno prima avevano sabotato una centrale elettrica, provocando un blak out totale di tre regioni.

Nasce la colonna romana

Negli ultimi mesi del 76 a Roma la situazione è più tranquilla che a Milano. Questo perchè buona parte dei nuclei armati hanno risposto all’invito di Moretti e si sono arruolati nelle Br. E ora debbono organizzarsi, acquisire basi, addestrare i nuovi, studiare gli obiettivi.

I primi ad entrare nelle Br sono i capi delle Fac: Morucci e Faranda, che ha lasciato la figlia di 5 anni alla madre. Poi tra la fine del 76 e i primi del 77, parte del Cococe di Centocelle: Seghetti, Antonio Savasta, Renato Arreni, Emilia Libera, Anna Laura Braghetti ed altri. Alcuni dei “tiburtaros”, che è il comitato del Tiburtino, capeggiati da Barbara Balzerani e dall’ex marito Antonio Marini.  E poi Alvaro Lojacono, Alessio Casimirri e la moglie Rita Algranati. Provengono tutti da Potere Operaio. E, certo non è un salto da poco.

Barbara Balzerani

Un altro gruppo viene da Viva il Comunismo. Una formazione frutto di una strano connubio tra trotzkisti e leninisti: Luigi Novelli, Marina e Stefano Petrella, Maurizio Iannelli, Francesco Piccioni, che già aveva messo in piedi un primo embrione di gruppo armato.

Il leader è un certo Carmine Fiorillo,  ma voleva essere uno dei capi della colonna e siccome Moretti gli ha detto di no, lui se ne va, accusando Moretti di strumentalizzare i romani. Accusa ritirata quando il capo Br gli punta una pistola alla testa. Anche un certo Mariani, che era nel CoCoCe, entra, ma se ne va dopo un mese, perchè gli viene vietato di sposarsi.
Nell’aprile del 77 arriva a Roma anche Gallinari, che si contende con Morucci il ruolo di numero due. Mentre tornano a Milano Bonisoli e la Brioschi.

Nascono tre brigate di quartiere. In tutto sono una quarantina (di cui 6 o 7 regolari, cioè stipendiati) più un numero analogo di simpatizzanti in attesa di reclutamento. Sarà presto la colonna più numerosa, ma anche quella più anomala. Non ci sono operai e quasi tutti vengono dall’Autonomia, cioè coloro che un vecchio brigatista come Ognibene definiva “piccolo borghesi anticomunisti”. Ma questo è quel che passa Roma e Moretti non va tanto per il sottile.

Le Ucc in azione

A Roma al momento sono attive solo le Ucc di Comancho. Dopo il fallito sequestro del commerciante di carni, fanno fiasco di nuovo. Il 10 novembre in tre, capeggiati da Carlo Brogi, uno che fa saltuariamente lo steward in Alitalia, bloccano l’on. Di Giesi del Psdi, mentre esce dal suo appartamento. Lo spingono dentro, lo legano, gli rubano soldi e orologio, ma poi si accorgono che hanno sbagliato appartamento, volevano entrare in quello a fianco, sede di un’associazione. Così se ne vanno.

Pochi giorni dopo in tre rapinano un uomo e la moglie, appena scesi dalla loro auto. Mentre Annarita D’Angelo tiene a bada la donna, Torrisi e Antonio Campisi, che si è appena laureato in sociologia, sparano alle gambe dell’uomo. Poi i tre fuggono assieme a un quarto, Maurizio Falessi. In un volantino accuseranno Alfieri, la vittima, di <essere uno speculatore antiproletario  nel mercato dei libri e un finanziatore  di fascisti>. Un’azione assurda, anche nella loro ottica distorta, essendo questo Alfieri un personaggio di nessun conto. Tanto che la D’Angelo aveva votato contro la gambizzazione.

Un mese dopo a Milano le Ucc sono di nuovo in azione. In due fanno irruzione negli uffici dell’Assofarma, legano i quattro impiegati e rubano soldi e schedari. L’obiettivo? “Colpire i centri di comando del nemico di classe“.
Pochi giorni dopo, sempre a Milano, in quattro, con la scusa di consegnare un pacco, immobilizzano il portiere e una guardia del centro elettronico della Montedison. Poi mettono due bombe al fosforo sotto il calcolatore. Lievi i danni. Nel volantino accusano la Montedison di aver aumentato i prezzi dei farmaci.  La sera in tre fanno irruzione a Radio Radicale e mandano in onda il loro comunicato.

Carne, farmaci, libri. Alle Ucc non interessa il cuore dello Stato, loro immaginano una lotta armata che parta dai bisogni delle gente.

 Nap, il processo e la vendetta

Il 22 novembre si apre a Napoli il processo ai Nap. Sono in 26 alla sbarra. E’ il gruppo che ha subito più arresti ed ha avuto più morti.

Proprio per questo viene deciso di dare un segnale. E questa volta non si gambizza, ci vogliono almeno un paio di morti da gettare in pasto ai giornali e ai giudici del processo, per dimostrare che i Nap sono vivi.

Il cadavere del nappista Martino Zicchitella dopo l’agguato al vicequestore Alfonso Noce (a lui è dedicato il film “Padrenostro”)

L’obiettivo è di livello: il vicequestore Alfonso Noce, capo dell’antiterrorismo del Lazio. E l’operazione militare clamorosa. Il nucleo nappista, probabilmente lo stesso che ha ferito Tuzzolino e Dell’Anno, è guidato da Schiavone e Zicchitella, che è evaso in agosto assieme a Pietro Sofia e ad altri 18, tra i quali anche il famoso bandito Graziano Mesina.

Il 14 dicembre con un furgone bloccano l’auto del visequestore, sulla quale sono in tre. Scendono in quattro e aprono il fuoco con mitra e pistole. Un proiettile alla tempia uccide sul colpo l’autista, ma gli altri due poliziotti, seppure colpiti da più proiettili, rispondono al fuoco. Nella sparatoria forsennata che segue Zicchitella viene ucciso per errore dai suoi compagni. Schiavone e altri due vengono arrestati poco tempo dopo.

Al processo i Nap adottano la linea brigatista: rifiutano di difendersi, accusano e minacciano giudici e avvocati, leggono proclami. Spesso a farlo è la Vianale. Chi la conosceva quando era studentessa, fa fatica a riconoscerla. E’ dura, spavalda, ancora bella ed elegante, nonostante l’anno e mezzo di carcere duro, ma inferocita. Grida ai giudici: <Siamo qui per processarvi>.

Walter

Il 15 dicembre, alle 5 del mattino, a Sesto S.Giovanni è buio e fa un freddo cane.  Una ventina di uomini circondano un caseggiato popolare di quella che chiamano la Stalingrado d’Italia. In quattro bussano alla porta della famiglia Alasia, hanno un mandato di perquisizione e cercano il figlio Walter. In una base brigatista a Pavia hanno trovato un paio di occhiali, attraverso l’ottico sono risaliti a lui, da qualche mese lo controllano. Walter ha appena 20 anni,  ha fatto l’Itis, ma non l’ha finito, ha fatto l’operaio, ma per due volte si è licenziato, ora scarica pacchi in stazione. E’ un ragazzo inquieto, simpatico, occhi azzurri, piace alle ragazze ed è pieno di idee.

Walter Alasia

La madre è un’operaia, attivista della Cgil, il padre un artigiano, entrambi iscritti al Pci. Lui invece stava in LC e con la madre scherzava e discuteva spesso di politica. Ma da un anno è cambiato di colpo, non frequenta più i vecchi compagni, è diventato evasivo, non parla più di politica, spesso non cena a casa, anche se quando torna lava i piatti e mette in ordine. E’ cambiato, perchè si attiene scrupolosamente alle norme di sicurezza  delle Br.

Il padre in pigiama apre la porta. Dov’è suo figlio? In camera che dorme. Ma no, è già sveglio e con la pistola in pugno. La porta della camera si apre, Walter spara tutti i colpi e uccide due poliziotti. La polizia non risponde al fuoco, lui richiude la porta, si veste e salta dalla finestra, al pianoterra. Ma una raffica lo abbatte. Non aveva compiuto gravi reati, poteva cavarsela con qualche anno di carcere. Ma la legge delle Br è sparare. E poi Walter ripeteva sempre che in galera non ci sarebbe mai andato. Aveva scritto poco tempo prima: <Io sono uno dei tanti che pensano di cambiare qualcosa, e non ritengo di essere un utopista come dice mio padre, quelli che dicono così vogliono nascondere la loro paura e il loro egoismo>. E’ riuscito a cambiare radicalmente la vita di tre persone, compresa la sua.

I sindacati proclamano due ore di sciopero di solidarietà coi poliziotti. Al funerale di Walter partecipano alcune centinaia di giovani e anche diversi operai di Sesto, pugni alzati, garofani rossi e l’Internazionale. Anche per Walter le Br parlano subito di esecuzione a freddo. Ma il fratello, che dormiva in camera con lui, lo ha negato ed anzi ha elogiato la professionalità dei poliziotti, che hanno evitato di sparare in casa

Il conto di morti e feriti

Il 76 si chiude con cinque poliziotti e due carabiniere uccisi; così come un brigatista e uno dei Nap. Un compagno ucciso dalla polizia, due uccisi dai fascisti e un fascista da PL. 14 gambizzati o feriti, tra cui quattro dirigenti d’azienda, due magistrati, un ginecologo e un brigatista.

g.g.

 

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